Mi chiamo Giovanna,
ormai ho 58 anni e anche
quest’anno ho celebrato il mio,
molto intimo, giorno della
memoria. Avete ragione: la
memoria è importante. Vi scrivo
soltanto per farvi sapere che
molte, moltissime persone, anche
quelle improbabili come me,
ricordano quella notte e ciò che
è accaduto. Magari, così come ho
fatto io, lo ricordano in
silenzio, senza dirvelo perché
pensano che sia insignificante.
Ma ricordiamo. E vi ringraziamo
perché continuate a ricordare.
Andate avanti ! Il vostro
lavoro, il vostro dolore, la
vostra dedizione è importante
per tutti. Vi lascio la mia
testimonianza. Forse inutile, ma
per me è solo un pensiero posato
su quelle 39 tombe.
L’anniversario.
Mia sorella Daniela
è morta a 26 anni il 29 Maggio
del 1984.
Una morte
improvvisa, assurdamente causata
da una cisti che ha rotto
l’arteria femorale. Una manciata
di minuti e tutto era finito per
sempre.
Esattamente un anno
dopo, sulla mia bella Firenze
cade lentamente un tramonto
dolce che ha i colori
dell’estate.
Ceniamo prestissimo,
in silenzio.
Io ho vent’anni ma
da quando è morta Daniela vivo
la vita come attraverso un velo.
La mia allegria, la mia energia,
esistono a momenti, per il resto
è una commedia tragica dove
fingo emozioni che non
riconosco.
Ho iniziato
l’Università, ai nuovi amici non
dico nulla perché sono
imbarazzata dall’imbarazzo che
provoca il dolore dell’Altro. Lo
risparmio a tutti.
È difficile
sopravvivere a chi amiamo. È
duro chiedersi perché non io. È
duro consolare e non chiedere
consolazione. Capisci che ogni
respiro di tuo padre, di tua
madre, è solo perché tu sei
ancora viva. Non puoi più
sbagliare, non più.
Dopo cena, mia madre
va a dormire. In realtà si
chiude in camera per poter
piangere da sola. La sento
singhiozzare.
Non posso lasciare
mio padre da solo… C’è
Juve-Liverpool, per fortuna. La
Coppa.
Io e lui siamo da
sempre tifosi Viola, abbonati da
quando ho memoria. Dacché son
grande però, lui va in tribuna,
io in curva Fiesole: tutte le
volte che il tempo è brutto gli
auguro per scherzo che piova "a
vento", così un pochino si
bagnano anche loro. Quell’anno
sopporto anche la neve, perché
il gioco del pallone è il più
bello del mondo. Ci credo
davvero, è una passione
bellissima, quasi forte come
l’Amore.
Quella sera mio
padre è terreo. Come me, come la
mamma, si fa forza schiantato da
un dolore che sopportiamo a
stento e che, "quella" sera,
sembra più acuto. Ma c’è
Juve-Liverpool, la speranza è
che forse riusciamo a non
pensare per un paio d’ore. Sono
grata di questa opportunità;
riesco persino a immaginare che
sarà bello vedergliela perdere
anche questa volta. Mio padre
no, lui è davvero uno sportivo:
se gioca una squadra italiana
spera sempre che vinca. Se
invece non vince va bene lo
stesso, per lui avrà sempre
vinto la Migliore.
Accendiamo la tv,
lui sulla sua poltrona, io su
quella "del popolo", cioè
l’altra. La voce di Pizzul,
rassicurante. Per fortuna ci
sono cose che non cambiano mai.
Le prime immagini.
"Maremma quanta
gente…".
"Sì, ma, boh, che
stadio… Ci si lamenta del
Franchi…".
All’inizio non
capiamo. Ascoltiamo poco il
commento, più che altro
cerchiamo di parlare tra noi per
non stare in silenzio.
Nel vedere quel
caos, ce la prendiamo subito con
gli italiani, le telecamere
inquadrano solo loro, chissà che
avranno combinato… Poi, ce la
prendiamo con la polizia,
soprattutto io, che ogni
domenica, in curva, ho la
sensazione di essere assediata e
invece lì, a una finale di
Coppa, vedo tre gatti in divisa.
Poi, ce la prendiamo con tutti.
"Insomma, guarda che
casino… "Ovvìa, su", per una
partita ! Guarda come hanno
ridotto lo stadio ! La gente che
aspetta… Chissà che sete… Ci
saranno bambini… E questi
continuano a voler fare a botte…
Mah, sempre la stessa storia.
Eh, la mamma ha ragione a
prenderci per grulli perché la
domenica si va allo stadio !".
Lentamente tra noi
cala il silenzio.
Ma lo stesso non
vogliamo capire.
Un morto è una
tragedia, una catastrofe, un
morto è Daniela. Alcuni morti,
24 morti, 36 morti dentro uno
stadio sono incomprensibili.
Iniziamo a chiederci
sottovoce se sia il caso di
giocare… "È successo qualcosa di
grosso, questa volta hanno
esagerato, bisogna dare un
segnale !".
No, non si dovrebbe
giocare. Concordiamo. Ma
l’Ordine pubblico, la Sicurezza…
Mio padre è sempre stato un uomo
di buon senso.
Le immagini
continuano a scorrerci davanti
agli occhi. Il babbo ora è
immobile, impietrito, ed io non
oso nemmeno guardarlo. Siamo
sprofondati dentro le nostre
poltrone. Muti e attoniti.
Inizia la partita.
Dobbiamo guardarla, siamo
entrambi senza alcuna forza di
reagire, non abbiamo il coraggio
di dire all’altro che ne abbiamo
abbastanza, perché è "quella"
sera… Va bene, va bene tutto,
pur di non parlare ancora di
Daniela. Guardiamo, guardiamo.
Dopo un po’, invece,
cediamo: le lacrime inondano
prima il viso di mio padre, poi
il mio.
Mi alzo, mi
rannicchio nella sua poltrona,
tra le sue braccia, e piangiamo
insieme. Piangiamo per ognuno di
quei morti perché abbiamo
finalmente capito… Ed ognuno di
loro si chiama Daniela, ha il
suo viso, i suoi bellissimi
capelli ricci e il suo profumo.
Ognuno di quei morti diventa
nostro, come lei. E tra i
singhiozzi la chiamiamo e
chiamiamo quelle povere madri, i
padri, i fratelli, i figli di
quelle persone che non
conosciamo. In quei momenti ci
sentiamo noi due, la loro
famiglia. Sappiamo quanto
soffriranno e mentre ci
stringiamo l’uno all’altra, come
naufraghi, stringiamo tutti
loro.
Quando ci sembra di
non aver più lacrime, spegniamo
la tv e, in silenzio, andiamo a
letto anche se non dormiremo.
Non abbiamo visto il
goal, né sentito Pizzul chiedere
il permesso di gioire. Non
abbiamo visto la Juve alzare la
coppa. Non abbiamo visto il giro
della vittoria. Ci vorranno
giorni per capire davvero, per
appena intuire cosa è
sommariamente successo. Ci
vorranno mesi, anni, per sentire
il sapore autentico del
disgusto.
Mio padre ed io non
abbiamo mai più parlato di
quella sera. Troppo dolore e
persino la vergogna di non aver
aiutato l’uno il dolore
dell’altra, di essere crollati,
di non essere stati forti mentre
l’altro cedeva.
Ma da allora ho
sempre ricordato, insieme a mia
sorella, i morti dell’Heysel.
Ogni anno, giorno più, giorno
meno.
Giovanna Bacci ©
Fonte:
Associazionefamiliarivittimeheysel.it
© 18 giugno 2022
Fotografie: Giardinaggio.net ©
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