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N E W S ASSOCIAZIONE 6.11.2024
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I morti di Valencia e il calcio che va

avanti: ma l'Heysel è un'altra storia

di Francesco Caremani

Roma-Real Madrid, 11 settembre 2001. Per la mia generazione, quelli di noi che amano il calcio, la prima giornata della Champions League 2001-02 è passata alla storia per essersi giocata nello stesso giorno dell’attentato alle Torri Gemelle. Si giocò mentre New York bruciava, si giocò mentre c’era chi lottava per estrarre i corpi da sotto le macerie, si giocava mentre il mondo, al di qua dell’Atlantico, era incollato, attonito, dal primo pomeriggio davanti al televisore, confondendo il fumo dell’attentato con quello dei fumogeni dentro uno stadio.

Il dramma di Valencia - All’epoca l’Uefa non fu in grado di rimandare la prima giornata, rimandando solamente le partite del giorno dopo. Un meccanismo, già allora, incapace di fermarsi, incapace di portare rispetto a qualcosa che era molto più grande di lui, dentro un calendario che più di venti anni fa era difficile da gestire, figurarsi oggi. È accaduto di nuovo. In questi giorni in cui la Comunità Valenciana sta affrontando il disastro di un evento climatico senza precedenti, mentre la conta dei morti diventa insopportabile e la ripresa della vita quotidiana un miraggio, e mentre la MotoGP ha rinunciato a correre nel circuito cittadino, accettando anche di finire il Mondiale allo stato delle cose per poi virare su Barcellona, il calcio non si è fermato, non lo ha fatto l’Uefa con la Champions League, non lo ha fatto la Liga del grande “moralizzatore” Javier Tebas Medrano. Che immensa vergogna. Il calcio non si è fermato nemmeno durante la pandemia di Covid-19, ovvero lo ha fatto ma dopo, lo ha fatto perché non poteva farne a meno riprendendo la maggior parte dei campionati e le coppe europee in estate per consegnare premi e trofei, mentre c’è chi ha avuto più dignità e ha interrotto tutto, chi non assegnando il titolo e chi riconoscendolo alla squadra oggettivamente più forte, roba da Europa del Nord ma non del Sud. In Italia, per esempio, si è forzata la mano fino all’impossibile, facendo giocare le squadre in stadi vuoti e in un clima surreale, poi ripartendo e violando più volte i protocolli senza subire sanzioni; parte di un capitolo ben peggiore di un Paese che si è vergognosamente scoperto nemico della scienza.

The show must go on - Restando all’Italia, sono all’ordine del giorno le polemiche per partite non giocate a causa delle alluvioni o di eventi climatici disastrosi, che hanno causato danni ingenti alla popolazione e morti. In questi anni è accaduto per un Napoli-Juventus (c’era stato un morto), per Fiorentina-Juventus (con la Toscana sott’acqua) e per Bologna-Milan con l’Emilia Romagna in ginocchio da due anni. Spesso si è polemizzato sul fatto che il giorno della partita c’era il sole dimenticando tutto il resto. E forse, allora, è il caso di dirselo fino in fondo. Se il calcio fosse ancora un gioco lo si interromperebbe sempre di fronte a cose più importanti, di fronte alla Storia, di fronte alle calamità naturali, di fronte ai morti. Evidentemente non lo è più e forse non lo è mai stato. Il calcio, invece, è un’industria e come tale deve andare avanti, non si può fermare altrimenti collassa dal punto di vista economico, come ha rischiato di fare durante la pandemia. Continuare a dirsi che è altro è ipocrita e fuorviante, quindi anche i protagonisti dovrebbero avere il coraggio di ammetterlo. Un brutto risveglio per chi crede ancora alle favole. Però c’è un concorso di colpa, perché parte dei tifosi (?) sui social media ha sempre espresso il parere di voler vedere le partite a tutti i costi: a Napoli, come a Firenze e Bologna. Vogliono la partita, qualunque cosa accada, perché se non sono colpiti personalmente dalle tragedie non gliene frega niente e basta con questa storia che il tifo organizzato “fa anche cose buone”, certo, quando non è impegnato nelle partite o quando, come a Valencia, non c’è spazio per altro che per gli aiuti e dove ogni secondo è prezioso, ma potendo scegliere… Dirò di più. Ricordo ancora il giorno della morte di Davide Astori, quando la Serie A, udite Merano, si è fermata. Ricordo tutto, i commenti sotto un mio post, tifosi (?) che mi hanno bloccato, che rivendicavano il diritto alla gradinata di uno stadio sulla pelle di un ragazzo che era morto da poche ore, rivendicando anche i soldi spesi (tutte le settimane di tutte le stagioni, ma non ce l’hanno il mutuo da pagare e i figli da mandare a scuola?!) e dimenticando che l’industria ha solamente clienti e che quando qualcuno, molti anni fa, lo scriveva e lo faceva notare in molti hanno girato la testa dall’altra parte perché l’unica cosa che contava era poter andare allo stadio, le coreografie, battere i “nemici”, mica fermarsi a riflettere. Perché, va detto, un calcio diverso pretenderebbe una presa di posizione radicale e si dovrebbe stoppare prima di ripartire in modo completamente differente, e chi pensa che si possa fare in corsa non ha alcun contatto con la realtà.

L’Heysel e le ricostruzioni posticce - In questi giorni alcuni siti, sul fatto che il calcio non si ferma mai, nemmeno davanti ai morti, hanno ricordato l’Heysel. E come al solito lo hanno fatto male. Era osceno giocare con i morti messi in fila sotto la tribuna ? Sì lo era. E chi meglio di Otello Lorentini che piangeva Roberto, il figlio unico, medaglia d’argento al valore civile per essere morto tentando di salvare un connazionale, poteva saperlo, lui che poi ha fondato l’Associazione tra le famiglie delle vittime di Bruxelles per affrontare il processo e ottenere giustizia dopo quella strage, perché di strage si è trattato. Eppure, durante il processo, ha capito che quella scelta è stata oculata e che ha impedito altri morti, nel momento in cui tutti erano a conoscenza di quello che era accaduto nella curva Z. Il 29 maggio 2025 saranno passati 40 anni da quella maledetta notte di Bruxelles e nell’avvicinarsi a quell’anniversario si inizia già a sentire il rumore delle fake news e delle ricostruzioni posticce per coprire la vergogna di chi non ha mai fatto niente per ricordare le 39 vittime e di chi, gli antijuventini, le hanno offese dalle gradinate di uno stadio. Gli stessi che vogliono andarci a tutti i costi, anche quando ci sono dei morti, anche quando la Storia gli suggerisce che sarebbe meglio non farlo: ma che ne sanno loro della storia e, soprattutto, della pietas. Termino con un’autocitazione, poco simpatica me ne rendo conto: chi volesse saperne di più sull’Heysel in maniera corretta può leggere il mio libro “Heysel - le verità di una strage annunciata”, il primo sull’argomento, mentre gli altri sono arrivati tutti dopo. Per chi, invece, vuole credere agli asini che volano c’è solo l’imbarazzo della scelta. Fonte: Today.it © 6 novembre 2011 Fotografia: Lastampa.it ©

Roberto sempre nel cuore

Andrea Lorentini ha partecipato all'evento di sabato 12 ottobre 2024 "Epilessia e diabete nello sport" organizzato dall'Associazione Arezzo per l'Epilessia in collaborazione con la società calcistica Fortis Arezzo presso la sede sociale del club in via dei Pianeti 10. Presidente dell'Associazione fra i Familiari delle Vittime dell'Heysel e figlio del dottor Roberto, eroe della tragedia, mantenendo fede alla missione di mantenere viva la memoria delle vittime e di combattere la violenza nel calcio, ha condiviso la sua testimonianza sull'importanza dei valori positivi nello sport e della sicurezza negli stadi. Speciale ed emozionante l'incontro tra la Dottoressa Natalia Banelli, presidentessa dell'Associazione Arezzo per l'Epilessia e Andrea Lorentini. Lei aveva conosciuto suo padre Roberto tanti anni fa all'Ospedale San Donato, dove lavoravano entrambi. Avendo saputo che oggi Andrea sarebbe stato presente alla manifestazione, ha voluto condividerne commossa un vivo ricordo. Le sue dolci parole hanno testimoniato quanto fosse preziosa l'eredità del dottor Lorentini nel cuore di tante persone. Un momento intenso, ricco di memoria e affetto. Fonte: Associazionefamiliarivittimeheysel.it © 10 ottobre 2024 Video: Fortis Arezzo ©

 
    
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