"Da soli per avere
giustizia"
di Francesco Caremani
Ricordo
ancora quella sera del 29 maggio 1985 e i
giorni seguenti. Un ricordo violento, perché
quello che accadde cambiò per sempre il mio
essere ragazzo, tifoso, e ha cambiato anche
il giornalista che sono diventato. L’Heysel
è una cicatrice che fa male ancora oggi e
che non se ne vuole andare, forse proprio
perché in troppi hanno cercato di
cancellarla, ma non c'è cura. Anzi, una ci
sarebbe: una memoria condivisa che dovrebbe
avere (ha) come assioma l'unica verità
storica e processuale riconosciuta
dall'Associazione fra i familiari delle
vittime dell'Heysel, presieduta da Andrea Lorentini, che a Bruxelles perse il padre
Roberto, giovane medico aretino medaglia
d'argento al valore civile per essere morto
mentre salvava un connazionale. "Abbiamo
sconfitto l'Uefa, abbiamo fatto
giurisprudenza, ma in troppi se la sono
cavata" mi ha detto Otello Lorentini prima
di soccombere sotto gli acciacchi della
vecchiaia e morire lo scorso maggio. Otello
era il padre di Roberto e il nonno di
Andrea. Lui le udienze del processo di
Bruxelles se l'è fatte tutte. Prendeva
l'aereo da Roma e poi cercava i giornalisti
per informarli di quanto stava accadendo. Un
processo per il quale i familiari delle
vittime italiane si sono autotassati. Otello
Lorentini fondò la prima Associazione per
avere giustizia di fronte a una strage in
cui tutti volevano farla franca: gli
hooligans inglesi come l'Uefa, le
istituzioni sportive come la politica belga.
La paura era che le 39 vittime fossero
uccise una seconda volta dall'ignavia,
spesso in malafede, di un Paese che
preferisce rimuovere le tragedie.
Soprattutto per questo Otello e gli altri
hanno litigato spesso, seppure a distanza,
con Giampiero Boniperti. Perché, come mi ha
detto Antonio Conti (che ha perso la figlia
Giuseppina, 17 anni), guardandomi negli
occhi: "Sono contento che se ne parli
ancora, ma il dolore non se ne va". In
questi trent'anni non si è dimenticata solo
la strage, ma anche la solitudine, la dignità
e la forza con cui i familiari delle vittime
sono andati avanti: "Mi hanno detto che
m'avevano pagato il marito morto, che la
macchina (che avevo anche prima) me l'ero
comprata con quei soldi" ricorda Rosalina
Vannini, vedova di Giancarlo Gonnelli.
"Nessuno sa cosa ha significato andare
avanti senza Giancarlo e con tutti i
problemi che ha avuto nostra figlia Carla".
Lei dell'Heysel non vuole ancora parlare. E
allora, cosa ci resta di una battaglia
condotta in solitudine da 32 famiglie
italiane, fattesi forza nella figura di un
uomo che aveva perso l'unico figlio per una
partita di calcio ? Sicuramente c'è la
condanna dell'Uefa, passata anch'essa sotto
i tacchi di una certa inconsistenza
giornalistica, che l'ha resa per sempre
corresponsabile delle manifestazioni che
organizza. Se gli stadi delle finali delle
Coppe europee devono avere determinati
requisiti di sicurezza (con biglietti
nominali, dotati di microchip) non lo si
deve certo all'evoluzione del calcio, bensì
alla testardaggine di Otello Lorentini e
allo choc di vedere tutti gli imputati
assolti in Primo grado. Cosi il presidente
dell'Associazione decise, insieme con gli
altri familiari delle vittime italiane, di
citare direttamente la Uefa, che è stata poi
condannata in Appello e in Cassazione. A
Hillsborough, Sheffield, il 15 aprile 1989,
morirono 96 tifosi del Liverpool. E’ la
strage che ha dato il via ai grandi
cambiamenti che fanno della Premier League
il campionato più sicuro dal punto di vista
degli impianti. Disorganizzazione e
inadeguatezza delle forze di polizia sono
forse le cause più importanti, ma questo lo
stabilirà l'inchiesta ancora in corso dopo
26 anni. Ecco, se avesse-ro imparato la
lezione del 29 maggio 1985, se avessero
riflettuto invece di respingere le accuse e
cercare di nascondere la vergogna
dell'Heysel, forse Hillsborough sarebbe
rimasto solo il nome di uno stadio. In
Italia, se possibile, è andata anche peggio.
Nel 1995, per il decennale, a Otello
Lorentini promisero una puntata del Processo
del Lunedì ad Arezzo, ma poi non se ne fece
niente. Nel 2010 ci fu la prima messa della
Juventus, che con la presidenza di Andrea
Agnelli ha intrapreso, con difficoltà, un
cammino verso i familiari delle vittime.
Dietro, 25 anni di vuoto. "Ho ricevuto
l'invito ma non andrò, ognuno ha la sua
coscienza" mi disse Maria Teresa Dissegna,
che all'Heysel ha perso il marito Mario
Ronchi, uno dei tre interisti morti a
Bruxelles. Abbandono, fastidio, oblio:
questo hanno continuato a subire i familiari
delle vittime e coloro che sono morti il 29
maggio 1985, insieme alle continue offese
negli stadi italiani, quasi mai sanzionate:
"In tutti questi anni la Procura federale
non mi è sembrata cosi pronta e attenta"
dice Andrea Lorentini. La memoria va
allenata, perché non accada mai più. Lo
dobbiamo a Otello Lorentini, Domenico
Laudadio, Annamaria Licata, Claudio II
Rosso, il Nucleo 1985, lo Juventus Club
Supporters Juve 1897, il Comitato "Per non
dimenticare Heysel" di Reggio Emilia, Andrea
Lorentini e a tutti gli altri famigliari.
Senza edulcorazioni, ipocrisie di parte e
interessi economici. Anche per questo vado
fiero della scritta che posso esibire sul
mio libro "Heysel, le verità di una strage
annunciata": "L'unico libro ufficialmente
riconosciuto dall'Associazione familiari
vittime Heysel". Chi ha ancora voglia di
raccontare quello che è accaduto 30 anni fa,
faccia i conti con le famiglie delle
vittime. La storia dell'Heysel sono loro,
nessuno si senta offeso.
Fonte: Guerin Sportivo © 10 maggio
2015
Fotografie: Associazionefamiliarivittimeheysel.it ©
Guerin Sportivo ©
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