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ARTICOLO 10-05-2015
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Guerin Sportivo  10.05.2015
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"Da soli per avere giustizia"

di Francesco Caremani

Ricordo ancora quella sera del 29 maggio 1985 e i giorni seguenti. Un ricordo violento, perché quello che accadde cambiò per sempre il mio essere ragazzo, tifoso, e ha cambiato anche il giornalista che sono diventato. L’Heysel è una cicatrice che fa male ancora oggi e che non se ne vuole andare, forse proprio perché in troppi hanno cercato di cancellarla, ma non c'è cura. Anzi, una ci sarebbe: una memoria condivisa che dovrebbe avere (ha) come assioma l'unica verità storica e processuale riconosciuta dall'Associazione fra i familiari delle vittime dell'Heysel, presieduta da Andrea Lorentini, che a Bruxelles perse il padre Roberto, giovane medico aretino medaglia d'argento al valore civile per essere morto mentre salvava un connazionale. "Abbiamo sconfitto l'Uefa, abbiamo fatto giurisprudenza, ma in troppi se la sono cavata" mi ha detto Otello Lorentini prima di soccombere sotto gli acciacchi della vecchiaia e morire lo scorso maggio. Otello era il padre di Roberto e il nonno di Andrea. Lui le udienze del processo di Bruxelles se l'è fatte tutte. Prendeva l'aereo da Roma e poi cercava i giornalisti per informarli di quanto stava accadendo. Un processo per il quale i familiari delle vittime italiane si sono autotassati. Otello Lorentini fondò la prima Associazione per avere giustizia di fronte a una strage in cui tutti volevano farla franca: gli hooligans inglesi come l'Uefa, le istituzioni sportive come la politica belga. La paura era che le 39 vittime fossero uccise una seconda volta dall'ignavia, spesso in malafede, di un Paese che preferisce rimuovere le tragedie. Soprattutto per questo Otello e gli altri hanno litigato spesso, seppure a distanza, con Giampiero Boniperti. Perché, come mi ha detto Antonio Conti (che ha perso la figlia Giuseppina, 17 anni), guardandomi negli occhi: "Sono contento che se ne parli ancora, ma il dolore non se ne va". In questi trent'anni non si è dimenticata solo la strage, ma anche la solitudine, la dignità e la forza con cui i familiari delle vittime sono andati avanti: "Mi hanno detto che m'avevano pagato il marito morto, che la macchina (che avevo anche prima) me l'ero comprata con quei soldi" ricorda Rosalina Vannini, vedova di Giancarlo Gonnelli. "Nessuno sa cosa ha significato andare avanti senza Giancarlo e con tutti i problemi che ha avuto nostra figlia Carla". Lei dell'Heysel non vuole ancora parlare. E allora, cosa ci resta di una battaglia condotta in solitudine da 32 famiglie italiane, fattesi forza nella figura di un uomo che aveva perso l'unico figlio per una partita di calcio ? Sicuramente c'è la condanna dell'Uefa, passata anch'essa sotto i tacchi di una certa inconsistenza giornalistica, che l'ha resa per sempre corresponsabile delle manifestazioni che organizza. Se gli stadi delle finali delle Coppe europee devono avere determinati requisiti di sicurezza (con biglietti nominali, dotati di microchip) non lo si deve certo all'evoluzione del calcio, bensì alla testardaggine di Otello Lorentini e allo choc di vedere tutti gli imputati assolti in Primo grado. Cosi il presidente dell'Associazione decise, insieme con gli altri familiari delle vittime italiane, di citare direttamente la Uefa, che è stata poi condannata in Appello e in Cassazione. A Hillsborough, Sheffield, il 15 aprile 1989, morirono 96 tifosi del Liverpool. E’ la strage che ha dato il via ai grandi cambiamenti che fanno della Premier League il campionato più sicuro dal punto di vista degli impianti. Disorganizzazione e inadeguatezza delle forze di polizia sono forse le cause più importanti, ma questo lo stabilirà l'inchiesta ancora in corso dopo 26 anni. Ecco, se avesse-ro imparato la lezione del 29 maggio 1985, se avessero riflettuto invece di respingere le accuse e cercare di nascondere la vergogna dell'Heysel, forse Hillsborough sarebbe rimasto solo il nome di uno stadio. In Italia, se possibile, è andata anche peggio. Nel 1995, per il decennale, a Otello Lorentini promisero una puntata del Processo del Lunedì ad Arezzo, ma poi non se ne fece niente. Nel 2010 ci fu la prima messa della Juventus, che con la presidenza di Andrea Agnelli ha intrapreso, con difficoltà, un cammino verso i familiari delle vittime. Dietro, 25 anni di vuoto. "Ho ricevuto l'invito ma non andrò, ognuno ha la sua coscienza" mi disse Maria Teresa Dissegna, che all'Heysel ha perso il marito Mario Ronchi, uno dei tre interisti morti a Bruxelles. Abbandono, fastidio, oblio: questo hanno continuato a subire i familiari delle vittime e coloro che sono morti il 29 maggio 1985, insieme alle continue offese negli stadi italiani, quasi mai sanzionate: "In tutti questi anni la Procura federale non mi è sembrata cosi pronta e attenta" dice Andrea Lorentini. La memoria va allenata, perché non accada mai più. Lo dobbiamo a Otello Lorentini, Domenico Laudadio, Annamaria Licata, Claudio II Rosso, il Nucleo 1985, lo Juventus Club Supporters Juve 1897, il Comitato "Per non dimenticare Heysel" di Reggio Emilia, Andrea Lorentini e a tutti gli altri famigliari. Senza edulcorazioni, ipocrisie di parte e interessi economici. Anche per questo vado fiero della scritta che posso esibire sul mio libro "Heysel, le verità di una strage annunciata": "L'unico libro ufficialmente riconosciuto dall'Associazione familiari vittime Heysel". Chi ha ancora voglia di raccontare quello che è accaduto 30 anni fa, faccia i conti con le famiglie delle vittime. La storia dell'Heysel sono loro, nessuno si senta offeso. Fonte: Guerin Sportivo © 10 maggio 2015 Fotografie: Associazionefamiliarivittimeheysel.it © Guerin Sportivo ©

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