Heysel, Associazione
familiari vittime: "Verità ancora scomode"
di Monia
Bracciali
Andrea Lorentini,
presidente, ha ricostituito il movimento garante
della memoria e che si batte per la divulgazione
della verità di quanto accadde quel 29 maggio e
contro i cori d'insulto alle vittime.
Un
tabù. A distanza di trent'anni di Heysel non si
parla e quando lo si fa è solo perché dagli stadi
si levano cori beceri contro le vittime. "Allenare
la memoria". Andrea Lorentini, 33 anni di Arezzo
e presidente dell'"Associazione familiari vittime
dell'Heysel" lo ripete spesso ma è un esercizio
che non basta se questa non è accompagnata dalla
verità dei fatti storici e processuali. "Una tragedia
scomoda per tanti, troppi – dice Lorentini - I familiari
delle vittime sono sempre stati lasciati soli e
senza il sostegno delle istituzioni, anche negli
anni del processo contro l'Uefa". Andrea quel 29
maggio del 1985, allo stadio belga perse il padre
Roberto, medico, poi medaglia d'argento al valore
civile. Quest'inverno ha deciso di ricostituire
l'Associazione che trent'anni fa fondò il nonno
Otello, deceduto l'anno scorso, affinché i familiari
ottenessero giustizia, ottenendo una vittoria storica
contro il massimo organismo calcistico europeo.
Come e perché si è ricostituita
l'Associazione ?
"Ho deciso di farla
rinascere dopo un ragionamento importante – spiega
Lorentini - L'Associazione è nata nell''85 ed ha
cessato la sua attività nel '92. Negli anni a seguire
mi sono sempre impegnato in prima persona in memoria
delle vittime e nel divulgare la verità dei fatti.
Tuttavia mi sono accorto che farlo a titolo personale
non era abbastanza, che serviva un soggetto di riferimento.
Quindi mi sono adoperato per ricontattare tutti
i familiari delle vittime. Abbiamo raggiunto un
buon numero e siamo ripartiti".
Quali obiettivi vi ponete
?
"In primis, difendere
la memoria delle vittime. In Italia, in molti stadi,
i morti vengono oltraggiati con striscioni e cori
offensivi. Nel nostro Paese mancano cultura sportiva
e senso civico. Noi siamo pronti a difenderci in
tutte le sedi, attraverso le vie legali, perché
a contare alla fine sono sempre i fatti. Ho scritto
a tutte le istituzioni calcistiche e alla Federcalcio
per sensibilizzarli sul tema e non solo con le vittime
dell'Heysel ma anche di Superga come di Paparelli:
non esistono morti di serie A o B. L'altro nostro
obiettivo è allenare la memoria e questo raccontando
la verità e promuovendo iniziative che possano favorire
una riflessione sul tema, la crescita della cultura
sportiva con particolare riferimento ai giovani.
Per questo abbiamo organizzato diversi incontri
nelle scuole e università".
Perché non si ricorda
mai abbastanza l'Heysel ?
"Finora lo si è fatto
poco e in maniera fuorviante. I familiari delle
vittime sono stati lasciati soli anche negli anni
del processo senza alcun sostegno istituzionale.
In questo contesto sarebbe stato importante anche
quello della Juventus, così come quello dei mass
media, della stampa. Basti pensare che il primo
libro "Heysel, verità di una strage annunciata"
di Francesco Caremani è potuto uscire solo nel 2003,
a diciotto anni di distanza dall'accaduto. Tutto
questo perché la tragedia porta con sé verità scomode.
La Uefa è stata condannata nel processo, si è macchiata
di gravi negligenze nell'organizzazione della partita,
nella scelta dello stadio, nella gestione dei biglietti.
Le autorità del Belgio non hanno saputo organizzare
un ordine pubblico efficace. E poi ci sono gli hooligan
inglesi, i colpevoli materiali della strage. Il
nostro Governo poi non ha avuto la volontà di affermarsi
per non creare problemi diplomatici col Belgio,
con le autorità sportive, l'Uefa. E la Juventus
ha dato a quella Coppa un valore sportivo che non
esiste. Quella partita si è giocata solo per motivi
di ordine pubblico per evitare che da 39 i morti
salissero a 300, una volta fuori dallo stadio. Infine,
lo stesso processo contro l'Uefa è passato sotto
traccia, proprio per non disturbare le istituzioni".
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