La partita infinita
delle famiglie
"La memoria si
allena"
di Giulia Zonca
Processi chiusi,
resiste l’associazione delle vittime. "Ma ciascuno
di noi ha il proprio pezzo di storia".
Per chi ha perso qualcuno
dentro lo stadio dell’Heysel ogni 29 maggio arriva
sempre nello stesso modo. Non importa che siano
i 30 anni, i 29 o i 18, che la messa sia privata
o condivisa, è sempre una spia che si accende, un
dolore latente e un’emozione, il ricordo che si
rinnova e il bisogno di non dimenticare: "La memoria
si allena", è la semplice perfetta frase che ripetono
tutti. Molte famiglie lo chiamano "giorno del raccoglimento",
semplice, spoglio, un momento intimo impossibile
da spiegare, non ha bisogno di rituali, si muove
da solo con il suo carico: tutto si amplifica perché
l’anniversario è per sua natura collettivo: "Il
cuore torna alla tragedia e per fortuna la testa
ti porta via". I parenti difendono le immagini private,
quelle che salvano perché mantengono il calore a
dispetto dell’assenza. C’è un filo conduttore pubblico
che è l’associazione, passata in gestione già alla
seconda generazione, e poi c’è un grumo di ricordi,
personali e protetti che non vengono scambiati neanche
tra chi ha in comune una notte d’orrore. Le testimonianze
- Andrea Lorentini oggi è il presidente dell’associazione,
l’ha ereditata dal nonno che l’aveva messa in piedi
per avere giustizia. Ora che il processo è chiuso
resta la volontà di tramandare, di raccontare la
verità perché nulla venga dimenticato, perché le
responsabilità non sbiadiscano. Poi ci sono le fitte,
come la voce squillante di Andrea che si abbassa
quando parla del padre Roberto, medico e medaglia
d’argento al valore civile, deceduto mentre cercava
di salvare un bambino. Di fare il suo lavoro: "Non
ho alcun ricordo di lui, ero troppo piccolo ma sono
cresciuto con il suo esempio. Ci ha lasciato il
suo grande altruismo". Andrea fa il giornalista
sportivo, non ha chiuso il calcio dentro una scatola
nera "anzi sono convinto che possa esprimere dei
valori, non lo associo a quell’inferno". Sembra
strano ma non ha mai scambiato il suo pezzo di storia
con la famiglia di chi la completa, con la sorella
e la mamma di Andrea Casùla, la vittima più giovane,
il bimbo che il padre di Andrea cercava di rianimare
all’Heysel. La memoria collettiva - La sorella del
piccolo Andrea, Emanuela, oggi è vicepresidente
ma Lorentini trova normale che "ognuno tenga per
sé il proprio pezzo di famiglia". La storia collettiva
è finita sul prato insanguinato, non c’è altro da
dire. Emanuela un giorno ha chiesto alla madre di
smontare la cameretta totem del fratello tenuta
uguale a se stessa nonostante gli anni. È successo
tanto tempo fa, Emanuela aveva già capito che la
memoria si allena in un altro modo. Come sottolinea
Fabrizio Landini che in quel macello ha perso uno
zio: "La memoria non va riesumata ma protetta, coltivata".
Quando Giovacchino Landini era in vita, la famiglia
gestiva una trattoria a Torino, ora si sono trasferiti
in Liguria, tornano ogni anno per la messa: "Mio
zio si sapeva godere la vita, peccato che non abbia
potuto farlo a lungo come meritava. Io ero e sono
rimasto tifoso della Juve, lo zio era così innamorato
di quella squadra che non mi sono mai immaginato
un tradimento. Non vado allo stadio, non per paura,
per...". Le parole mancano, forse quella giusta
è distanza. Quel filtro quasi impossibile tra il
dolore e il ricordo. Per restare in equilibrio bisogna
allenare la memoria, senza mescolare l’esempio da
tramandare con le storie da custodire.
Fonte:
La Stampa
© 29 maggio 2015
Fotografie:
Guerin Sportivo
©
La Stampa
© Associazionefamiliarivittimeheysel.it
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