La violenza
nel calcio non è stata debellata
di Giuliano
Giulianini
Andrea
Lorentini, presidente dell'Associazione
Familiari Vittime dell'Heysel, racconta i
progetti di educazione sportiva per le scuole e
l'idea di una giornata nazionale contro la
violenza nello sport.
Secondo i dati del
Ministero dell'Interno durante la stagione
calcistica 2018/2019 gli episodi di violenza o
inciviltà legati alle partite di calcio
professionistico sono stati 120, in aumento
rispetto all'anno precedente. Il bilancio dei
feriti è stato di 46 persone tra i civili, 58
tra le forze dell'ordine, 17 tra gli addetti
alla sicurezza negli stadi. In tutto ci sono
stati 72 arresti e 1023 persone denunciate. La
violenza nello sport è un fenomeno tanto attuale
quanto paradossale, visto che riguarda un
aspetto della vita civile, lo sport appunto, che
dovrebbe rappresentare i valori dell'impegno,
della collaborazione e del rispetto per tutti.
Il 25 aprile, al Villaggio per la Terra di Villa
Borghese a Roma, campioni, esperti, giornalisti
e rappresentanti delle istituzioni sportive, si
confronteranno con il pubblico in un talk dal
titolo "Peace - Metti in campo lo sport !". Tra
gli ospiti Andrea Lorentini, giornalista di Tele
Etruria e presidente dell'Associazione Familiari
Vittime dell'Heysel. Lorentini è figlio di una
delle 39 vittime della strage di tifosi, in gran
parte italiani, avvenuta prima della finale di
Coppa dei Campioni del 1985. Oggi è attivo
nell'educazione dei ragazzi al rispetto
reciproco, contro gli eccessi dell'odio tra
tifoserie. L'intervista è stata trasmessa nel
programma "Ecosistema", rubrica radiofonica di
EarthDay.it, in onda ogni martedì su Radio
Vaticana Italia.
Andrea, dagli
anni ottanta è cambiato il mondo del calcio
rispetto alla violenza ? Purtroppo, dalle
cronache sembrerebbe di no, con episodi di
violenza più o meno gravi. In effetti sembrano
episodi meno frequenti che in passato, e
soprattutto meno organizzati, ma è realmente
così ?
"La violenza nel calcio
non è stata debellata. Un episodio come quello
dell'Heysel non si è più verificato, però, anche
in Italia, negli anni abbiamo avuto comunque
delle vittime della violenza legata al mondo del
calcio. Ricordiamo Paparelli, ricordiamo
Spagnolo, solo per citarne alcuni. È un problema
di cultura, oltre che di sicurezza degli stadi,
perché l'avversario viene visto come un nemico,
quindi spesso le tifoserie tendono a vivere il
momento della partita come una guerra alle
squadre rivali. Non ci si limita al tifo o
magari allo sfottò ironico, che può essere anche
divertente, ma si va oltre: spesso si cerca lo
scontro fisico, come a voler delimitare un
territorio. Purtroppo è un problema di cultura
al quale ancora non si è trovato un rimedio.
Come associazione, nel nostro piccolo, cerchiamo
di promuovere progetti di educazione
civico-sportiva per cercare di incidere sulle
giovani generazioni".
Tu lavori in
un contesto provinciale, ad Arezzo, in Toscana,
una storicamente regione "calda" da questo punto
di vista. Percepisci una differenza fra il tifo
intorno al calcio professionistico, di altissimo
livello, e quello dilettantistico o giovanile ?
C'è una diversa maturità, o comunque un diverso
controllo, un diverso grado di violenza fra
questi due mondi ?
"A livello
professionistico può fare più notizia. In
Toscana ci sono molte sfide di campanile, se
così le vogliamo definire, tra le squadre dei
vari capoluoghi della regione, soprattutto in
categorie come la Serie B e C, e anche a livello
giovanile. Io faccio il giornalista sportivo e
devo dire che anche nella provincia di Arezzo
abbiamo avuto alcuni episodi di violenza, non
solo nelle categorie dilettantistiche ma anche
nelle giovanili: aggressioni agli arbitri
piuttosto che episodi di violenza verbale,
magari in tribuna tra i genitori. Credo che la
violenza nel calcio esista a tutti i livelli
proprio perché non si riesce a vedere l'altro
semplicemente come un avversario. Ciò che
spaventa maggiormente, sul quale bisogna
lavorare, è che accadono spesso episodi nei
campionati giovanili, dove i ragazzi dovrebbero
invece vivere quei momenti soltanto come una
crescita personale".
L'Associazione
Familiari delle Vittime dell'Heysel incontra i
bambini delle scuole, proprio perché i problemi
culturali vanno risolti principalmente a scuola.
Come approcciate i bambini e i ragazzi ? Che
risposte ne ricevete ?
"Sviluppiamo progetti
legati principalmente all'educazione
civico-sportiva. Per esempio in questi anni
abbiamo promosso il progetto "Un pallone per la
memoria" e coinvolto varie scuole con iniziative
pratiche e ludiche, con i ragazzi che si
confrontano in tornei di calcio, pallavolo,
basket, anche di realtà differenti. In un nostro
progetto, ad esempio, abbiamo coinvolto un liceo
di Bruxelles con due licei italiani, anche per
mettere in correlazione ragazzi di lingue e
culture in parte differenti. Allo stesso tempo
sviluppiamo attività anche attraverso la nostra
testimonianza. All'Heysel ho perso mio padre,
che è stato insignito della medaglia d'argento
al valore civile. Spesso indipendentemente dal
fatto che sia mio padre, porto lui come esempio,
perché in un momento così drammatico, in cui tra
le persone era prevalso l'odio e non c'è stato
rispetto per la vita umana, in un momento così
buio, il suo è stato un esempio di altruismo.
Era un medico. Si era già salvato dalle prime
cariche dei tifosi inglesi. È tornato indietro
ed è stato travolto da una nuova carica mentre
prestava soccorso a dei tifosi. In particolare
ad un bambino che era rimasto ferito sugli
spalti. Cerco sempre di far capire ai ragazzi
che lo sport, il calcio, non è quello che è
accaduto all'Heysel, che anche in quei momenti
ci possono essere esempi per far capire loro
dove stanno il bene e il male. Io stesso ho
praticato lo sport e il calcio, nonostante il
calcio mi abbia privato di un genitore: uno dei
drammi peggiori che può provare una persona
nella propria esistenza. Ho vissuto lo sport
come momento di crescita, di socializzazione e
di sviluppo di relazioni che poi mi sono portato
avanti nel tempo. Ci sono ragazzi che a
tutt'oggi sono miei amici. Attraverso la mia
esperienza, e quella di altri associati,
cerchiamo di far capire ai ragazzi che lo sport
è qualcosa di positivo mettendoli insieme,
facendogli condividere delle giornate proprio
per sviluppare questo rispetto. Ci possono
essere agonismo e competizione, ma ci deve
essere sempre rispetto".
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