ANDREA LORENTINI - Figlio
di Roberto, morto tentando di salvare un bambino, presiede
l'Associazione vittime dell'Heysel.
"C'è ancora tanto bisogno di combattere la violenza"
"Vedo genitori che
intonano cori beceri imitati dai figli, sull'Heysel manca
una memoria collettiva".
di Marina Salvetti
Andrea Lorentini aveva tre anni, e
suo fratello uno e mezzo, quando suo papà Roberto è morto
all'Heysel. Di lui non ha ricordi diretti, ma solo ciò che
il nonno, la mamma, i parenti e gli amici gli hanno
raccontato. "Il mio babbo era un medico, il giorno prima
della tragedia aveva ricevuto la lettera di assunzione in
ospedale. Tifava Juve, ma non era un ultras, l'anno prima
era andato a Basilea per la finale di Coppa delle Coppe,
decise di ripetere l'esperienza anche a Bruxelles con nonno
Otello, tifoso viola, e due cugini. Proprio mio nonno,
crescendo, ci ha spiegato quello che è successo: papà era
riuscito a mettersi in salvo, poi ha visto un bambino,
Andrea Casula, in difficoltà, è tornato a prestargli
soccorso, gli stava praticando la respirazione bocca a bocca
quando entrambi sono stati travolti da una nuova carica. Li
hanno trovati insieme".
Andrea, come si sente
quando si avvicina il 29 maggio ?
"Mio padre è vivo nei nostri
ricordi tutto l'anno, in vari momenti della nostra vita,
però quando si avvicina questa ricorrenza cresce la
malinconia e la tristezza, riapre una ferita che non si
rimargina: a volte brucia meno, a volte di più. Se non ci
fosse stata questa tragedia la nostra vita con mio padre
poteva essere differente, non avremmo vissuto questo
dolore".
Come vorrebbe che fosse
ricordato suo papà ?
"Per Il suo gesto di grande
altruismo che gli è valso anche una medaglia d'argento al
valore civile. E' stato un esempio, un punto di riferimento,
morto aiutando gli altri e io sono orgoglioso di ciò che ha
fatto".
Lei ha raccolto l'eredità di suo
nonno Otello nel tenere viva l'Associazione Vittime
dell'Heysel, di cui è presidente.
"E vicepresidente è Emanuela
Casula, la sorella di quel bambino che mio papà ha cercato
di soccorrere... Con l'impegno dell'Associazione cerchiamo
di dare un senso a quelle morti perché è assurdo morire per
una partita di pallone. Così, oltre alla memoria e alla
parte commemorativa, cerchiamo di sviluppare progetti di
educazione civica sportiva, per educare i giovani, far
capire che lo sport è altro. Infatti domani (oggi NdR) sarò
al Museo di Coverciano e racconterò ad una scuola in visita
quello che è stato l'Heysel".
Suo nonno riuscì a
ottenere giustizia nel processo a Bruxelles.
"Quel processo ha fatto
giurisprudenza perché l'Uefa è stata condannata. Ci sono
voluti i tre gradi di giudizio ma alla fine, oltre alle
autorità belghe e ad alcuni tifosi del Liverpool, quelli che
sono riusciti a individuare perché a quei tempi non c'era un
sistema di telecamere, anche l’Uefa è stata riconosciuta
colpevole. Prima dell'Heysel non era responsabile degli
eventi che organizzava, da allora lo è e per questo motivo
ha introdotto una serie di parametri, tra cui la sicurezza,
nella scelta degli stadi dove disputare gli eventi. Il
merito va a mio nonno che con l'Associazione si è costituito
parte civile e non ha mollato di un centimetro: qualche
volta l'ho accompagnato anch’io alle udienze. Se l’Uefa
fosse stata responsabile già allora, mai avrebbe scelto
quello stadio, così vetusto e inadatto a ospitare una
finale, a cui si è aggiunta la negligenza dell'ordine
pubblico che ha permesso agli hooligans di dettare legge".
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