ARTICOLI
STAMPA
PROCESSO
HEYSEL
1985
|
1986
|
1987
|
|
1989
|
1990
|
1991
|
1992
|
|
"E dopo il danno, le beffe"
Strage Bruxelles ventinove rinvii a giudizio
BRUXELLES -
Ventinove rinvii a giudizio per la strage dello
stadio Heysel del 29 maggio 1985: prima della
partita Juventus-Liverpool morirono negli
incidenti trentanove persone, tra cui 32
italiani. La sentenza è stata emessa ieri dal
tribunale di Bruxelles che ha accolto così le
richieste del pubblico ministero. Ventisei dei
ventinove rinviati a giudizio sono tifosi
inglesi. Si tratta delle venticinque persone di
cui era stata ottenuta l'estradizione dalla Gran
Bretagna, più un altro tifoso di cui non era
stata richiesta l'estradizione. Per tutti
l'accusa principale è quella di "ferite
volontarie e premeditate" e di "omicidio
preterintenzionale". Gli altri tre rinviati a
giudizio sono cittadini belgi. Si tratta di due
gendarmi e dell'ex segretario della Federcalcio
belga Albert Roosens. A loro viene imputata, in
sostanza, l'estrema inefficacia delle misure di
sicurezza e dei primi interventi in soccorso dei
feriti. Per la prossima settimana è previsto
l'inizio del dibattimento processuale.
Fonte: La
Repubblica
©
9 gennaio
1988
|
|
Strage dello
stadio Heysel Processo il 18 aprile
BRUXELLES -
Il processo contro i ventisei tifosi del
Liverpool accusati della strage dello stadio
Heysel avrà inizio il 18 aprile; lo ha reso noto
oggi un funzionario del ministero della
Giustizia belga.
Fonte: Stampa Sera
©
2 marzo 1988
|
|
Vittime dell'Heysel Appello
dei familiari
AREZZO -
Nella imminenza del processo per gli incidenti
avvenuti nello stadio Heysel di Bruxelles, in
occasione di Juventus-Liverpool, la cui prima
udienza è fissata per il 18 aprile prossimo
nella capitale belga, l'Associazione delle
famiglie delle vittime, riunitasi ieri ad
Arezzo, ha inviato una lettera alla presidenza
del Consiglio dei ministri, alla Juventus ed
alla Federazione italiana gioco calcio, nella
quale chiede di essere concretamente aiutata,
nel suo intervento processuale di parte civile.
Gli associati hanno ascoltato la relazione dei
legali italiani Paolo Ammirati e Domenico
Mammoli, che insieme all'avvocato Brusio
Pirrongelli, di Roma, e Daniel Vedovatto, di
Bruxelles, assistono le famiglie dei morti e dei
feriti, costituitesi parte civile. I presenti -
si afferma in un comunicato - hanno
concordemente rilevato come di fronte al
massiccio schieramento difensivo dei 26 imputati
inglesi, che si fanno assistere da 40 avvocati,
dei quattro imputati belgi che si fanno
difendere da altri 12 avvocati, le famiglie
italiane siano state lasciate sole ad affrontare
una dura battaglia processuale dove saranno in
discussione oltre la dignità nazionale, la
responsabilità dei singoli e dei gruppi.
Fonte: Stampa Sera
©
21 marzo
1988
|
|
Subito rinviato al 17 ottobre
il processo per lo stadio Heysel
BRUXELLES -
E' stato rinviato al 17 ottobre il processo per
la strage dello stadio di Heysel, dove, il 29
maggio 1985, 39 tifosi - 32 dei quali italiani -
morirono durante gli incidenti che precedettero
la finale della Coppa dei Campioni tra Juventus
e Liverpool. Il processo, apertosi oggi
nell'aula principale del palazzo di giustizia di
Bruxelles, è stato subito aggiornato, come era
previsto, perché gli avvocati difensori hanno
chiesto tempo per studiare il dossier che è di
ben 50 mila pagine. Imputati sono 27 tifosi
teppisti britannici del Liverpool, i cosiddetti
"hooligans", per omicidio preterintenzionale, e
due ufficiali di gendarmeria e un ex-funzionario
dell'Unione calcistica belga, per concorso nello
stesso reato. Tutti gli imputati sono a piede
libero.
Fonte:
Stampa Sera
©
18 aprile
1988
|
|
Strage Heysel Oggi prima
udienza e poi rinvio
BRUXELLES -
A quasi tre anni dai drammatici incidenti in cui
allo stadio di Heysel persero la vita 39
persone, 32 delle quali italiane, si aprirà
stamane a Bruxelles il processo ai 27
"hooligans", tifosi teppisti del Liverpool, la
squadra inglese che quel giorno, 29 maggio '85,
doveva incontrare la Juve per la finale della
Coppa dei campioni. Ma l'udienza durerà pochi
minuti, il tempo per la difesa di chiedere un
rinvio di alcuni mesi. L'accusa non si opporrà.
Fonte:
Stampa Sera
©
18 aprile
1988
|
|
Oggi a
Bruxelles comincia il processo per i gravi
disordini avvenuti tre anni fa allo stadio in
cui morirono6 39 persone. I tifosi del Liverpool
e tre dirigenti belgi accusati degli scontri in
cui morirono 39 persone.
In tribunale
la strage di Heysel Ma sarà fatta giustizia ?
di Paolo
Soldini
La tragedia
di Heysel approda in tribunale. Ma è dubbio che
giustizia sarà fatta ! Quasi certamente il
processo che inizia oggi a Bruxelles contro 26
tifosi del Liverpool, tre dirigenti belgi,
accusati per i gravissimi incidenti che il 29
maggio 1985 costarono la vita a 39 persone, sarà
aggiornato alla prima udienza. E nessuno sa
quando potrà riprendere.
DAL NOSTRO
CORRISPONDENTE (BRUXELLES) - Tre anni non sono
bastati. L’inchiesta che approda oggi nell'aula
del tribunale di Bruxelles è incompleta, monca,
avvelenata dalle polemiche. Dei 29 accusati per
la follia di quella tremenda serata allo stadio
di Heysel pochi, probabilmente, siederanno al
banco degli imputati. Forse i tre belgi, il
segretario generale dell'Unione calcistica
Albert Roosens e i due dirigenti della
gendarmeria che quella sera avevano la
responsabilità del servizio d'ordine, il
maggiore Kensier e il capitano Mahieu. Forse
qualcuno dei 26 teppisti britannici che erano
stati individuati nei filmati della tv,
estradati in Belgio e poi scarcerati dietro
cauzione. Centoventimila franchi belgi, meno di
quattro milioni di lire: tanto è stato valutato
il prezzo della loro libertà e secondo gli
avvocati difensori questo basterà a convincerli
a non sottrarsi al giudizio... D'altronde
nessuno degli imputati ha troppo da temere,
almeno per ora. L'istruttoria su cui si basa il
processo è tanto debole che dopo l’udienza di
oggi si dovrà, probabilmente, incominciare tutto
daccapo. Di fronte alla tremenda vividezza delle
immagini di quel 29 maggio, l'immagine della
giustizia è grigia, sfocata, elusiva. Ed è stata
così fin dall'inizio: c’era un ministro degli
Interni che non si volle dimettere e con il suo
cinismo e la sua arroganza diede l’esempio.
Jean-Ferdinand Nothomb se ne sarebbe andato dal
governo qualche mese dopo, per una storiaccia
tutta "belga" di rivalità linguistiche, ma di
fronte ai 39 morti di Heysel non ebbe neppure la
sensibilità, minima, di cercare, almeno, qualche
giustificazione. Ma se l'esempio veniva
dall’alto perché stupirsi, poi, se l'inchiesta
si sarebbe impantanata sulle reticenze, i
silenzi, i più penosi scaricabarile ? E con che
coraggio la magistratura belga avrebbe potuto
reclamare una più attiva collaborazione delle
autorità britanniche, per individuare e punire i
teppisti assassini ? Così, se per i belgi sul
banco degli imputati siedono oggi solo Roosens e
i due dirigenti della gendarmeria, per gli
inglesi sarà ben difficile trovare le prove
dalle loro responsabilità individuali e, per
quelli che saranno condannati, se il processo
arriverà mai a termine, sarà altrettanto
difficile ottenere che scontino davvero la pena.
Questo esito triste della storia cominciata
quella maledetta sera allo stadio era,
d'altronde già scritto, in qualche modo, dalle
prime battute. 30 maggio 85. Il giudice
istruttore Marina Coppieters’t Wallant,
incaricato dell’inchiesta, incarica decine di
investigatori di studiarsi, a Bruxelles, Londra
e Liverpool, le riprese televisive e le foto per
identificare il maggior numero possibile di
teppisti e la natura dei loro atti di violenza.
Ma le difficoltà maggiori sono sul fronte belga.
Chi è responsabile delle incredibili falle del
servizio d'ordine e dei ritardi nell’intervento
delle forze di polizia ? Comincia, su questi
punti, uno scandaloso palleggio delle
responsabilità. 4-5 giugno. Il presidente della
Camera Jean Defraigne accusa le forze
dell’ordine e il ministro Nothomb. Al termine di
una seduta tumultuosa viene votata la
costituzione di una commissione d’inchiesta. 6
luglio, la commissione rende il suo rapporto.
Contiene critiche severe all'Unione calcistica
belga, alla Uefa e alla gendarmeria. Cinque
membri su nove mettono sotto accusa Nothomb, ma
questi rifiuta di dimettersi. 13 luglio. Mentre
alla Camera il dibattito è accesissimo, il
ministro della Giustizia e vicepremier Jean Gol
annuncia le proprie dimissioni per protestare
contro "il rifiuto ingiustificato da parte del
ministro degli Interni di assumersi le proprie
responsabilità". Sembra un gesto nobile, ma
probabilmente è solo un pretesto per regolare
ben altri conti tra il partito liberale, di cui
Gol è uno del massimi esponenti, e i
social-cristiani di Nothomb. La crisi di
governo, aperta dal gesto di Gol, sarà
ricomposta in estate con la decisione di andare
alle elezioni anticipate. 2 luglio 86. Per 26
teppisti, riconosciuti nelle riprese televisive,
il governo belga chiede a Londra l'estradizione.
La procedura sarà lunga e difficile: gli inglesi
chiedono "garanzie" e solo il 9 settembre
dell'anno successivo 25 dei 26 sospetti
arriveranno in Belgio. 29 gennaio 87. Roosens,
Kensier e Mahieu sono incolpati di omicidio
involontario. 4 settembre. Per rassicurare
l'opinione pubblica britannica, il ministro
della Giustizia mostra ai giornalisti le celle
della prigione di Lovanio dove saranno
incarcerati i teppisti; sono dotate di ogni
comfort. 6 settembre. Anche i detenuti leggono i
giornali. Nelle prigioni di Saint-Gilles e
Forest, a Bruxelles, scoppia una rivolta contro
il trattamento di favore riservato ai
britannici. 23 ottobre. La Camera di consiglio
del tribunale di Bruxelles decide la
scarcerazione dietro cauzione di sei imputati.
Il 26 febbraio di quest'anno tocca anche agli
altri venti. La cauzione è fissata a 120 mila
franchi e per tutti c'è l'obbligo di presentarsi
al processo. Quanti ce ne saranno, in aula,
stamane ?
Fonte: L’Unità
©
18 aprile
1988
|
|
La tragedia allo stadio Heysel
Un tifoso
torinese di nuovo fermato
E'
Salussoglia, condannato a 2 anni in Belgio
Umberto
Salussoglia, il tifoso della Juventus condannato
dal tribunale di Bruxelles a due anni di
reclusione nel processo per le violenze nello
stadio Heysel la tragica sera del 25 maggio '85,
rischia di scontare la pena nelle carceri del
Belgio. La polizia tedesca di Kiefesfelden,
posto di frontiera con l'Austria, ha
identificato ieri il giovane, ricercato nei
Paesi della Cee con un ordine di arresto
provvisorio emesso dalle autorità di Bruxelles
un anno fa, quando la sentenza divenne
definitiva. Umberto Salussoglia stava lasciando
la Germania, dopo aver trascorso alcuni giorni
di vacanza a Monaco di Baviera per l'Oktoberfest.
La magistratura belga, non appena appresa la
notizia del fermo, ha chiesto l'estradizione del
giovane alle autorità tedesche: se sarà
concessa, Salussoglia, che è difeso dall'avv.
Carlo Altara, passerà due anni in una prigione
belga. Ma la possibilità di estradizione dipende
dalle convenzioni esistenti tra Belgio e
Germania. I 24 mesi di reclusione gli furono
inflitti, senza sospensione condizionale della
pena, il 19 novembre '86, alla fine del processo
in cui era accusato di aggressione ad un
poliziotto, comportamento violento e
danneggiamenti. Accuse ritenute fondate dai
giudici. Salussoglia venne condannato in
contumacia: rimase a casa, mandò un certificato
medico: "Ho l'epatite". Estraneo agli scontri
che provocarono il massacro (38 morti) dei
tifosi italiani accorsi all'Heysel per la finale
di Coppa campioni tra Juventus e Liverpool,
Umberto Salussoglia fu ripreso dalla televisione
mentre con una scacciacani sparava verso la
curva occupata dai fans inglesi: l'immagine del
teppista con la pistola in pugno fu trasmessa in
tutto il mondo; divenne emblema della violenza
negli stadi.
Fonte:
La
Stampa
©
27 settembre
1988
|
|
Per i 38
morti dell'Heysel 27 "hooligans" alla sbarra
La tragedia
di Juventus-Liverpool il 29 maggio 1985.
Imputati anche 2 gendarmi e l'ex segretario
della Federazione Calcio belga. Trentadue le
vittime italiane.
BRUXELLES -
Giustizia, tre anni dopo, per i 38 morti e i
circa 300 feriti di Juventus - Liverpool, la
finale di Coppa dei Campioni trasformatasi in
strage la sera del 29 maggio 1985. Lunedì
mattina, alle 8 e 45, i giudici della corte
d'appello di Bruxelles cominceranno il lungo
processo contro 30 imputati. Sono 27
"hooligans", i teppisti da stadio inglesi che
con il loro assalto provocarono il crollo del
muro del settore "Z" dello stadio Heysel:
cadendo nel vuoto, perirono 38 persone di cui 32
italiani, 4 Belgi, un francese e un irlandese.
Un cittadino inglese, invece, morì accoltellato
fuori dello stadio. Estradati dall'Inghilterra
due anni fa, gli "hooligans" sono poi stati
rilasciati in libertà vigilata e rimpatriati a
Liverpool (è difficile che lunedì siano presenti
per l'apertura del dibattimento). Nella Sala
delle udienze solenni del Palazzo di Giustizia
di Bruxelles, invece, dovrebbero esserci i tre
imputati belgi: due poliziotti che erano di
servizio allo stadio e l'ex segretario della
Federazione Calcio belga, Albert Roosens. I
legali di parte civile, però, costituitisi per i
familiari delle vittime, hanno chiesto la
convocazione (per i danni civili) di altre
quattro persone: il sindaco della capitale
belga, Brouhon, l'ex assessore allo Sport, il
presidente dell'Uefa, Jorge, e il segretario
della stessa organizzazione, Wangester. Per i
teppisti di Liverpool le accuse sono di ferite
volontarie e premeditate ed omicidio plurimo
preterintenzionale. Roosens e i due gendarmi
devono rispondere di omicidio e ferite
preterintenzionali. In sostanza non avrebbero
garantito la sicurezza nello stadio. Un tifoso
torinese, Umberto Salussoglia, è già stato
condannato a 2 anni di carcere per violenza.
Fonte: Stampa Sera
©
15 ottobre
1988
|
|
Inizia
domani a Bruxelles il dibattimento per la strage
allo stadio del 29 maggio ’85. Sul banco degli9
imputati 26 hooligans, dirigenti belgi e Uefa.
Storia di compromessi e dimenticanze.
Heysel, un
processo farsa
di Paolo
Soldini
Trentatré
imputati alla sbarra per un processo che si
annuncia lungo e difficile. La strage dello
stadio di Heysel, 39 morti, approda nell'aula di
un tribunale. Si avvicina il momento della
giustizia ? E’ una domanda cui non è facile
rispondere: troppe esitazioni, troppe manovre e
troppe fughe dalle responsabilità hanno riempito
la storia dei tre anni e mezzo che dividono da
quel 29 maggio 1985...
DAL NOSTRO
CORRISPONDENTE (BRUXELLES) - Tornano le immagini
di quella serata di incubo, come in un corto
circuito della memoria. Come se non fossero
passati i mesi e gli anni. Invece il tempo è
passato. Il processo per la strage di Heysel si
apre, domani, tre anni e meno dopo l'orrore di
quella serata del 29 maggio 1985 allo stadio; I
1236 giorni che sembrano un nulla di fronte alla
scena della tribuna disseminata di cadaveri,
cristallizzata in tutta la sua irreparabilità, e
che invece sono tanti, troppi, e riempiti di
niente. Ci sono stati polemiche, buoni
propositi, un’inchiesta amministrativa e una
giudiziaria. Parole, tante. Ma le conseguenze ?
Il teppismo negli stadi è continuato, e "di
calcio" si continua a morire; la "severa
punizione" per i tifosi dei club britannici,
l'interdizione delle trasferte all’estero, è
presto diventata l'oggetto di un mercato
politico-sportivo. La ricerca delle colpe
specifiche, per la follia di quella finale di
coppa tra la Juventus e il Liverpool trasformata
in spettacolo di orrore e morte, ha rischiato di
affondare nelle sabbie mobili delle
irresponsabilità amministrative, per cui nessuno
è responsabile di nulla: la gendarmeria sul
posto perché aveva ricevuto l'ordine di
comportarsi così e basta, i dirigenti della
gendarmeria perché non erano sul posto, il
borgomastro di Bruxelles perché l'ordine
pubblico negli stadi non compete a lui, l'Unione
calcistica belga perché prende le direttive
dall'Unione europea, l'Uefa perché i suoi
dirigenti non potevano certo sapere delle
magagne nel sistema di sicurezza di Heysel...
Perfino il ministro degli Interni dell'epoca
Ferdinand Nothomb, che pochi mesi dopo se ne
sarebbe andato dal governo sbattendo la porta
per una questione di rivalità linguistiche in un
piccolo comune del Limburgo, alle richieste di
dimissioni aveva risposto, sprezzante: "E io che
c’entro ?". Solo i ventisei teppisti che gli
inquirenti britannici e belgi sono riusciti a
identificare nelle riprese tv della massa
scatenata dei tifosi del Liverpool di quella
sera sono stati inchiodati alle proprie
responsabilità. Ma ottenerne l'estradizione è
stato lungo e difficile, e al momento del rinvio
a giudizio Londra ha voluto e ottenuto per loro
"garanzie" tali di buon trattamento da provocare
una rivolta tra i detenuti "normali" nei carceri
di Bruxelles. D'altronde, è durata poco: dopo
qualche giorno erano tutti fuori, liberi su
cauzione. È una vicenda avvilente, insomma,
quella che arriva domani davanti ai giudici
della quarantaseiesima sezione del Tribunale
penale di Bruxelles. E ne dà la misura il
commento che al processo ha dedicato un
settimanale belga; in buona sostanza, il
procedimento verterà sul diritto al
risarcimento, e da parte di chi, delle famiglie
delle 39 vittime del 29 maggio, 32 italiani,
quattro belgi, due francesi e un irlandese.
Perché c'è anche questo da dire: nonostante le
promesse a caldo, subito dopo la strage, del
governo belga, di quello britannico e anche di
quello italiano, alle famiglie delle vittime
nessuno ha pensato, e neanche ai feriti, né ai
mutilati. Nessuno ha pagato, neppure con un atto
minimo, incommensurabile alla tragedia di 39
vite stroncate, ma che comunque avrebbe dato il
segnale di una giustizia che esiste. Riuscirà il
processo a rovesciare questa triste lezione di
impotenza della giustizia ? Sul banco degli
imputati vi siederanno, con i 26 hooligans
britannici, il più vecchio 36 anni, il più
giovane 21, tutti accusati di omicidio
involontario e di lesioni involontarie, cinque
belgi: Albert Roosens, segretario generale
dell'Unione calcistica belga, il maggiore della
gendarmeria Michel Kensier, comandante del
distretto di Bruxelles, il capitano Johan Mahieu,
che comandava le forze dell’ordine allo stadio
quella sera, il borgomastro Hervé Brouhon e la
responsabile dell’assessorato allo sport Vivane
Baro. Dovranno rispondere, a vario titolo, delle
insufficienze del servizio d'ordine e della
struttura dello stadio. Ma gli ultimi due sono
alla sbarra solo perché citati dalle parti
civili: l'istruttoria non li aveva sfiorati. Gli
altri due imputati sono il presidente della Uefa,
il francese Georges, e il segretario generale,
lo svizzero Bangerter. Sarà un dibattimento
lungo, si parla di sei-sette mesi, accidentato
dalle eccezioni che gli avvocati della difesa
preannunciano già a valanga e complicato dalle
traduzioni dal francese in italiano, in inglese
e in tedesco. Si comincerà così ha disposto il
giudice Verlinden, presidente della Corte, con
la proiezione dei filmati di quella tragica
sera. Immagini che non sarà facile riguardare.
Speriamo, almeno, che serva a qualcosa.
Fonte: L’Unità
©
16 ottobre
1988
|
|
A Liverpool i tifosi si
sentono perseguitati
di Alfio
Bernabei
LONDRA -
"Prevedo che a Bruxelles ci sarà solo del gran
caos", ha detto ieri Sir Harry Livermore, il
legale di 14 dei 26 tifosi del Liverpool
imputati di omicidio involontario per il
massacro di Heysel. Come ha già fatto in passato
alla vigilia di sedute processuali, ha indicato
che nutre profonde riserve sull'organizzazione e
l'andamento del processo in Belgio. "Manca la
traduzione simultanea. I belgi dicono che non
possono permetterselo. Ci sarà un interprete per
ogni quattro imputati. Come faremo ? C'è poi
un'altra complicazione: la Corte ha pure il
compito di risolvere 1.200 richieste di
indennizzi". L’ambasciata belga a Londra ha
nuovamente ricordato al legale che i processi a
Bruxelles non si svolgono come in Inghilterra.
"Seguiamo il Code Napoleon. Forse i tifosi del
Liverpool sono fortunati di non avere a che fare
con una giuria che potrebbe anche tener conto
dei sentimenti che ha suscitato la tragedia".
L'altro avvocato britannico degli imputati, Rex
Makin, si è dimostrato un po’ meno prevenuto:
"In Belgio c'è un sistema diverso", ma sono
convinto che i nostri clienti avranno la
possibilità di ottenere un processo regolare
come da noi". Due degli imputati non saranno in
aula. Anthony Hogan sta scontando una condanna a
4 anni per atti di violenza e Gary Hynes si
trova in stato di detenzione in attesa di
processo per rapina aggravata. Ci sarà invece
Terry Wilson che, intervistato ieri, ha detto:
"Vorremmo vedere la fine di questa storia. Ma
dobbiamo tornare a Bruxelles, altrimenti i Belgi
potrebbero dire che siamo dei ragazzacci".
"Siamo innocenti", insiste, "abbiamo visto le
prove" non abbiamo commesso proprio nessun
omicidio o comunque lo vogliate chiamare. Io ho
solo cercato di salvare i miei compagni che
erano stati attaccati dagli italiani. E’ stato
solo al ritorno, sul ferry, che ho visto alla
televisione quello che era successo e ne sono
rimasto disgustato". Dice che i suoi compagni
erano tentati di non tornare in Belgio, ma ci
hanno ripensato dopo aver ricevuto lettere dai
loro avvocati. Così i 24 torneranno a Bruxelles
pur avendo dei gravi problemi finanziari che non
sanno come risolvere. E la signora Jean Hunt,
coordinatrice del "comitato dei genitori degli
imputati" che si è occupata di trovare fondi per
aiutarli. Due amici di suo figlio che non era
alla partita" sono fra gli imputati. La signora
Hurst li ritiene innocenti. "E’ diventata una
questione politica fin da quando la Thatcher ha
deciso che potevano essere estradati in Belgio.
E perché sono di Liverpool. Se fossero stati
fans di una squadra del Sud, forse sarebbe stato
diverso". E’ una allusione non solo alla
divisione che è venuta a crearsi fra il ricco
Sud e il povero Nord, ma anche al fatto che il
governo è venuto ai ferri corti con
l'amministrazione locale della città di
Liverpool, accusata di essersi ribellata alle
direttive governative sui tagli alle spese
pubbliche e di continuare a tener testa ai
conservatori. E far passare Liverpool come città
violenta, sempre secondo la signora Hurst,
potrebbe essere anche una manovra deliberata.
Intanto sta per essere messa a punto la nuova
legge per controllare la violenza degli
hooligans nei campi di football. I tribunali
potranno imporre anche un bando a vita su fans
incriminati. C'è sempre maggiore preoccupazione
davanti alla nuova ondata di criminalità che
solo nell'ultimo anno ha registrato un aumento
del venti per cento e tende a salire. I
conservatori hanno annunciato nuove misure
preventive di sorveglianza. In sei città entrerà
in vigore un bando sulla riduzione nelle vendite
di bevande alcoliche e verrà introdotto, per
coloro in libertà provvisoria o in stato di
sorveglianza, un nuovo sistema di controllo
elettronico, si tratta di un bracciale della
grandezza di un orologio da polso: allacciato
alla persona. Invia segnali ad una centrale
d'ascolto e ne permette la sorveglianza.
Fonte: L’Unità
©
16 ottobre
1988
|
|
I 26
hooligans autori della strage rischiano poco:
veri imputati, le autorità che non presero
misure adeguate
Heysel, il
Belgio processa se stesso
di Fabio
Galvano
II
dibattimento si annuncia particolarmente irto di
scogli procedurali, qualcuno grida già allo
scandalo.
DAL NOSTRO
CORRISPONDENTE (BRUXELLES) - Sotto processo non
saranno soltanto i 26 hooligan inglesi, ma
piuttosto il Belgio delle manchevolezze e dei
ritardi, quando domani si avvierà nella sala
delle udienze solenni, al primo piano del
Palazzo di Giustizia, l'atteso processo di
Heysel. A più di tre anni da quella notte di
Bruxelles in cui il tifo per la finale di Coppa
dei Campioni tra Liverpool e Juventus si tramutò
in morte e 39 persone (32 italiani) furono
uccise nell'orrore della diretta televisiva,
saranno pochi - e forse nessuno - i supporter
inglesi a sedere sul banco degli accusati.
Rimessi tutti in libertà provvisoria e rientrati
in Inghilterra dopo una breve permanenza in
carcere (un trattamento "cinque stelle" che
aveva anche provocato violente proteste in altre
prigioni belghe), sanno che anche in caso di
condanna non potranno essere estradati e quindi,
venendo in Belgio, correrebbero soltanto un
grave rischio. Davanti al giudice Verlinden,
invece, ci saranno i responsabili belgi
dell'ordine pubblico in quella sera del 29
maggio 1985, ci saranno le autorità calcistiche
- belghe ed europee - chiamate in causa dalla
parte civile. Ma tant'è: la giustizia, tre anni
dopo, si chiama soprattutto indennizzo, e si
rivolge quindi non a un drappello di
squattrinati teppisti, ma alle istituzioni - la
gendarmeria, la città di Bruxelles, la
Federcalcio belga, l'Uefa - che hanno solide
polizze d'assicurazione. I morti riposano; ma
alla loro ombra si gioca da domani una partita
che può valere svariati miliardi. Nello stadio
della morte molte cose sono cambiate. Il settore
della tragedia - il "blocco Z" - è stato
ribattezzato "Nord 1". Il muretto di cinta che
cedette sotto la spinta degli hooligan ubriachi
è stato ricostruito, le reti di protezione
sostituite, rinnovati i parapetti d'acciaio. Ma
la cosmesi dell'acciaio e del cemento, che ha
riaperto lo stadio ai grandi appuntamenti
internazionali, non rimargina le altre ferite
lasciate aperte da quella serata di orrore:
troppo a lungo è continuato il palleggio delle
responsabilità. Nei giorni scorsi il maggiore
settimanale d'informazione di questo Paese, Le
Vif, parlava di "un cumulo di errori,
d'irresponsabilità e di negligenze", di "un
Belgio che ha offerto al mondo l'immagine di una
spaventosa inefficienza" e che, sul problema
degli indennizzi, "ha mancato l'occasione di
salvare la faccia", quindi di "un processo al
sistema belga". Gli hooligan sono accusati di
"avere inflitto con premeditazione,
volontariamente ma senza l'intenzione di
uccidere, colpi per provocare ferite a persone;
colpi e ferite che hanno tuttavia provocato la
morte". Parallelamente c'è l'accusa di avere
provocato lesioni permanenti, mutilazioni,
invalidità. Rischiano anni di carcere, ma il
compito dell'accusa e del pubblico ministero
Pierre Erauw non sarà facile: la legge belga non
riconosce la colpa collettiva e ciascun imputato
dovrà essere giudicato per la sua responsabilità
personale, ricostruita attraverso venti ore di
filmati cinematografici e televisivi che
riporteranno sotto la grande cupola del Palazzo
di Giustizia l'orrore di quella notte. C'è chi
dubita che l'accusa potrà mai esibire prove
convincenti, che gli hooligan potrebbero anche
essere assolti quando il processo si concluderà
fra tre, quattro, forse anche sei mesi. Diversa
la posizione degli accusati belgi ed europei.
Sul banco degli imputati siederanno domani il
maggiore della gendarmeria Michel Kensier,
comandante del distretto di Bruxelles, che
quella sera era rimasto al centro operativo, e
il capitano Johan Mahieu, che era il diretto
responsabile per l'ordine e la sicurezza allo
stadio di Heysel, ma che al momento della carica
omicida si stava occupando di un incidente
minore avvenuto all'esterno. Dovranno rispondere
di "mancanza di previsione o di precauzione, che
ha involontariamente provocato la morte". E' la
stessa accusa rivolta ad Albert Roosens,
segretario generale della Federcalcio belga
responsabile dell'organizzazione degli incontri
internazionali fra cui, appunto, la fatidica
finale del 29 maggio. Ma su iniziativa della
parte civile, che è guidata dall'avvocato Daniel
Vedovano cui sono affidati 104 dossier relativi
a 26 morti e 7 feriti, e che chiede indennizzi
che in qualche caso raggiungono i 22 milioni di
franchi (770 milioni di lire), dovrà comparire
in tribunale - poiché l'Heysel è uno stadio
comunale - anche il sindaco di Bruxelles:
l'impagabile Hervé Brouhon, che nelle ore della
tragedia difese l'operato della polizia
affermando di avere "fatto tutto il possibile,
anzi il necessario" e che, un anno dopo, rifiutò
il permesso a una cerimonia commemorativa. Con
il sindaco comparirà anche l'assessore allo
sport Vivianne Baro la quale, rispondendo a una
lettera di Roosens che esprimeva allarme per la
vetustà degli impianti, affermò che tutto il
necessario sarebbe stato fatto in tempo utile
per "evitare qualsiasi incidente". La parte
civile, che ha citato anche lo Stato belga, ha
inoltre messo sotto accusa Jacques Georges e
Hans Bangerter, il primo francese l'altro
svizzero, rispettivamente presidente e
segretario generale dell'Uefa, la federazione
calcistica europea.
Fonte: La
Stampa
©
16 ottobre
1988
|
|
A Londra, però, hanno
dimenticato tutto
Tacciono i
giornali Parla solo il legale
di Mario
Ciriello
Il nostro
corrispondente ci telefona da Londra: è l'ora
del processo per i ventisei dell'Heysel. Ma
soltanto il "Guardian" di sabato ha ricordato il
dramma; il resto della stampa pubblica
sbrigative notizie, non analizza né commenta.
Ciò non significa che si siano dissolte tutte le
apprensioni. I 26 imputati temono condanne
pesanti; le loro famiglie, gente modesta, temono
dolorose conseguenze finanziarie; Sir Harry
Livermore, il giurista che difende 15 degli
accusati, teme le "debolezze" del gratuito
patrocinio belga. Sir Harry, che ha celebrato
ieri il suo ottantesimo compleanno, è figura di
rilievo in Gran Bretagna, paladino delle arti,
amministratore municipale. Ha dichiarato: "Il
sistema legale belga è forse migliore
dell'inglese, ma purtroppo mette a disposizione
degli imputati poveri soltanto avvocati con meno
di tre anni d'esperienza. Per di più questi
giovani devono occuparsi anche di altri casi,
perché il gratuito patrocinio non rende loro
quasi nulla". Ha parlato anche Joan Hurst, una
signora che assiste le famiglie degli imputati
nelle loro molte difficoltà. "Le spese per i
viaggi e per le cauzioni hanno colpito duramente
molti genitori. Una famiglia ha venduto la
casa". Il "Guardian" ha intervistato Terry
Wilson, 22 anni, uno dei 26. "Sono innocente",
ha dichiarato. E ha aggiunto: "Anche gli altri
ragazzi sono innocenti". Come spiega allora la
tragedia del 29 maggio '85 ? E’ una versione che
già conosciamo. "I nostri compagni furono
aggrediti dagli italiani. Soltanto allora, noi
passammo all'attacco. Per difendere gli
aggrediti. Poi arrivò la polizia. Gli agenti mi
percossero una decina di volte. Lasciammo lo
stadio senza renderci conto di quanto era
avvenuto: lo scoprimmo soltanto sulla nave
traghetto, quella sera, quando guardammo la
televisione. Restammo sconvolti. Non potevamo
credere a quelle immagini. Io non avevo visto
nessun morto".
Fonte: Stampa Sera
©
17 ottobre
1988
|
|
Si apre oggi a Bruxelles il
processo ai responsabili della tragedia
Heysel,
teppismo alla sbarra
di Lorenzo
Del Boca
Il 29
maggio 1985, partita Liverpool-Juventus, nel
crollo della gradinata morirono 39 persone, due
torinesi, e centinaia furono i feriti. Alcuni
scampati parteciperanno, a Londra, ad una
trasmissione rievocativa della rete tv Bbc. Ma
chi è riuscito a scappare da quell'inferno ora
vuole soltanto dimenticare: "E’ come rivivere un
incubo". Ventinove maggio 1985, stadio Heysel,
partita Juventus-Liverpool, crolla il parapetto
della tribuna e precipitano gli spettatori: 39
morti - uno di Torino e uno di Moncalieri -
centinaia di feriti. A Bruxelles, da oggi,
compaiono alla sbarra 26 hooligans, i tifosi
sanguigni del Liverpool facili all'alcool e alla
rissa, accusati di aver provocato gli incidenti.
Imputati che, forse, non saranno in tribunale:
perché andare in un Paese straniero a rischiare
una condanna ? Invece, saranno fisicamente
presenti i due responsabili della polizia e
Albert Roosens, segretario della Federcalcio
Belga. Loro dovranno rispondere di "mancanza di
previsione e di precauzione" tanto da trovarsi
impreparati ad affrontare l'emergenza. Emergenza
che la televisione ha mandato in onda in diretta
proiettando le immagini di un massacro. La
tragedia si è spezzettata in una quantità di
storie personali. Francesco Galli, carpentiere
di Bergamo, ultimo di undici fratelli, mediano
di una squadretta di calcio, la "Kals", è andato
in Belgio per "farsi un regalo" e non è più
tornato. Domenico Russo di Moncalieri è morto
lasciando la moglie incinta: il figlio che è
nato è stato battezzato come lui e nessuno se
l'è sentita di andare alla Sip per togliere il
suo nome dall'elenco del telefono. Giovanni
Casula aveva accompagnato il figlio Andrea alla
partita per rispettare una promessa fatta due
anni prima: "se fai il bravo a scuola, ti porto
in Belgio". Era stato davvero bravo e
nell'ultimo tema aveva raccontato la sua
speranza di vedere la Juve dal vivo. Quanti sono
tornati con il volto sfatto dalle botte ? Hanno
raccontato di aver calpestato i cadaveri per
scappare, si sono fatti vedere con le sciarpe
bianconere usate come bende per tamponare le
ferite. Carlo Duchene di Pinerolo è rimasto in
coma per parecchi giorni, ha avuto conseguenze
nell'uso delle braccia e ha difficoltà nel suo
lavoro da parrucchiere. Sono flash-back su
ricordi che nessuno ha accarezzato in questi tre
anni e mezzo e che, anzi, i più hanno tentato di
nascondere fra le pieghe della memoria. Meglio
dimenticare quella notte allo stadio di Heysel:
credevano di partecipare a una festa del calcio
e si sono trovati coinvolti in una battaglia di
lattine di birra lanciate come se fossero
proiettili. Per feriti e per familiari di morti
non fa differenza. Chi è tornato a casa
malconcio ma ha salvato la pelle ha la
sensazione che ripensare a quella marea di gente
spaventata sia come rivivere un incubo di
grandezza disumana. Mentre i familiari dei morti
hanno posto soltanto per un loro dolore -
privato e dignitoso - amplificato dal fatto di
sapere che i parenti se ne sono andati
"inutilmente". La televisione di Londra BBC ha
fatto fatica per convincere alcuni protagonisti
di quella notte a raccontare la loro triste
esperienza per un trasmissione che andrà in onda
mercoledì. "Guardi, non ho mai chiesto, a mio
marito di quei momenti. Lui non ne ha parlato e
io non ho cercato di farlo parlare...". Rosita
Binelli è la moglie di Marco Manfredi, autista
dell'ospedale di Moncalieri, tifoso della
Juventus, partito per Bruxelles per vedere la
sua squadra, travolto e calpestato da gente che
scappava, "scomparso" per una settimana e
tornato a casa come resuscitato ma senza
memoria. La sua vita è finita all'ingresso dello
stadio nello sventolare delle bandiere ed è
ricominciata in Francia quando gli hanno dato da
mangiare minestra e mele. Non sa come è arrivato
fin là, con chi, con che cosa. "E per la verità
non mi va nemmeno di pensarci". Non andrà al
processo e, come lui, la maggior parte delle
vittime. Alcune non hanno presentato nemmeno la
costituzione di parte civile, altre si fanno
rappresentare da un legale ma più per formalità
che per desiderio di risarcimento o di vendetta.
Fonte: Stampa Sera
©
17 ottobre
1988
|
|
Intanto è iniziato a Bruxelles
il maxi-giudizio (durerà da tre a sei mesi) per la strage
dell'Heysel
Autodifesa
degli hooligans: "Processo assurdo"
di Fabio
Galvano
DAL NOSTRO
CORRISPONDENTE (BRUXELLES) - Sono venuti tutti,
per l'apertura del processo: tutti tranne due,
trattenuti per altri reati nelle patrie galere.
I 24 hooligans inglesi accusati della tragedia
dell'Heysel, accompagnati da una schiera di
oltre trenta avvocati le cui parcelle sono a
carico d'un benefattore misterioso (ma qualcuno
suggerisce che si tratti del Liverpool), si sono
fatti strada a fatica - e in qualche caso a
gomitate - fra le telecamere che li attendevano:
ammorbiditi i toni punk e nascosti i tatuaggi,
sembravano ragazzi timidi e spaesati quando il
giudice Verlinden ha fatto l'appello. Si sono
fatti rimproverare una sola volta dal
magistrato, che nel mezzo dell'udienza li ha
invitati a "tacere e stare seduti composti". E
nei corridoi del Palazzo di Giustizia, a
contatto con cento giornalisti venuti da tutta
Europa, ripetevano a cantilena la lezione
mandata a memoria: "E’ un processo assurdo, ci
dispiace solo per i morti italiani". E'
cominciato così l'atteso processo per i fatti
del 29 maggio 1985, quando la grande festa del
calcio europeo, la finale di Coppa dei Campioni
fra Juventus e Liverpool, si trasformò in
tragedia, con 39 spettatori uccisi (32 italiani)
e oltre 500 feriti nell'orrore della diretta
televisiva. Era presente uno sparuto gruppo di
parenti delle vittime italiane: fra di loro
Otello Lorentini, presidente dell'associazione
che raccoglie 23 delle 31 famiglie coinvolte in
quel lutto, padre del medico Roberto Lorentini
che fu ucciso mentre assisteva le vittime della
prima ondata e che per quel gesto ha ricevuto la
medaglia d'argento al valore civile. Ma c'era
soprattutto una nutrita schiera di avvocati (459
persone si sono costituite parte civile) per un
processo destinato a tempi lunghi, fra tre e sei
mesi. Ci sono voluti più di tre anni perché la
giustizia belga potesse individuare i presunti
colpevoli e completare 50 mila pagine
d'istruttoria, in un palleggiarsi di
responsabilità che ha finito per mettere sul
banco degli imputati anche il Belgio delle
manchevolezze e del ritardi. I tifosi inglesi,
accusati di lesioni volontarie e omicidio
preterintenzionale, rischiano dieci anni di
carcere (ma sicuramente non attenderanno la
sentenza); non sono però i soli imputati. Ieri,
seduti a qualche metro dagli hooligans, c'erano
anche il maggiore della gendarmeria Michel
Kensier e il capitano Johan Mahieu, responsabili
quella sera della sicurezza all'Heysel, e l'ex
segretario della Federcalcio belga, Albert
Roosens, organizzatore della partita. Questo è
un processo che si svolge all'insegna degli
indennizzi: le famiglie delle vittime, ha
precisato Lorentini, hanno finora visto pochi
soldi; a parte il governo britannico e la
Fondazione Agnelli, egli spiega, nessuno si è
fatto avanti e il fondo stanziato dal governo
belga è congelato dalla corte dei conti. Ecco
quindi sul banco degli imputati, citati
dall'avvocato Daniel Vedovatto che guida i
cinque legali italiani di parte civile (Pirrongelli,
Mammoli, Ammirati, Catallotti e Pasqualin), il
sindaco di Bruxelles Hervé Brouhon e l'assessore
allo Sport Vivianne Baro (lo stadio è del
Comune), oltre a Jacques Georges e Hans
Bangerter, presidente e segretario dell'Uefa. Le
prime battute della babele processuale - cinque
le lingue in aula: francese, fiammingo, inglese,
italiano e tedesco - si sono svolte nel segno
delle eccezioni procedurali: quella, per
esempio, con cui lo Stato vorrebbe far
derubricare la propria imputazione per l'operato
della gendarmeria. Gli hooligans, affiancati
dagli interpreti, hanno assistito senza molto
comprendere a questa fase d'avvio. Né sono
valsi, ad animare quest'aula austera, i due
allarmi alla bomba di cui ha dato notizia, senza
crederci molto, il giudice Verlinden: "Siete
tutti liberi di uscire - egli ha detto - ma io
continuerò il processo: Stancamente, il grande
processo si è messo in moto: forse venerdì, dopo
un sopralluogo all'Heysel e al tragico "blocco
Z", potrà avviarsi l'esame dei filmati
televisivi - 18 ore - che sono serviti a
identificare gli hooligans; ma si dovrà
attendere fino al 4 novembre perché s'avvii
l'interrogatorio dei testimoni. E chissà se a
quell'epoca i 24 tifosi inglesi saranno ancora a
Bruxelles.
Fonte: La
Stampa
©
18 ottobre
1988
|
|
"Chiediamo
solo giustizia"... Bruxelles processa i "red"
di Daniele
Mastrogiacomo
BRUXELLES -
Arrivano all'alba. Due, tre, poi gli altri,
tutti in gruppo. Si abbracciano, sorridono. Ma
gli sguardi sono nervosi, duri, quasi
sprezzanti. Valigie in mano, vestiti eleganti,
capelli tagliati a zero, l'immancabile
orecchino, avanzano nella nebbia che ancora
avvolge l'ingresso del Palazzo di giustizia.
Varcano il portone decisi, scortati da un gruppo
di gendarmi armato di manganelli. Tra la folla
che, paziente, attende di assistere al primo
grande processo contro la violenza negli stadi,
qualcuno li riconosce. Eccoli, urla, sono loro.
Sì, gli hooligans. La fila, fino a quel punto
ordinata e composta, si scioglie. C'è uno
sbandamento. Premono gli agenti, premono i
fotografi, accorrono i giornalisti. Spintoni,
grida, gesti minacciosi, ma soprattutto grande
sorpresa. Nessuno se l'aspettava. Invece loro, i reds, i supporters del Liverpool, i più famosi e
temibili tifosi inglesi, sono lì. Ventiquattro
robusti giovanotti. Avranno al massimo 25 anni.
Operai, minatori, falegnami, pittori, molti
disoccupati. Ognuno con la propria storia da
raccontare: grande povertà, una cittadina
colpita dalla crisi economica, le speranze di
trovare un impiego, l'incertezza del futuro. Una
vita consumata per strada, tra mille delusioni e
una sola grande passione: il calcio e la squadra
del cuore, il Liverpool. Sono accusati di
omicidio preterintenzionale e di lesioni
gravissime. Tre anni e mezzo fa, la sera del 29
maggio 1985, qui a Bruxelles, nello stadio di
Heysel, assaltarono ad ondate successive il
settore riservato ai tifosi della Juventus. La
finale della Coppa dei Campioni doveva ancora
iniziare. Ma sugli spalti, sulle gradinate e ai
bordi del campo già si contavano 39 morti e 450
feriti. Un massacro, una vera strage, che colpì
soprattutto gli italiani. Ci furono ben 32
vittime. Vittime giovani, ma anche vecchi, donne
e bambini. Le immagini strazianti di quei
sanguinosi momenti sono state immortalate e poi
trasmesse in diretta dalle televisioni di tutto
il mondo. Oggi sono conservate negli archivi del
tribunale di Bruxelles e fanno parte
dell'inchiesta. Scarcerati all'inizio di
quest'anno, i 24 hooligans hanno deciso di
presenziare ugualmente al dibattimento per la
strage allo stadio di Heysel. Una decisione
importante, che imprime al processo un carattere
diverso. Non più un atto ufficiale, un impegno
formale del governo belga per cancellare l'onta
di un massacro che si poteva evitare, ma un
processo senza precedenti contro la violenza
nello sport. Aperto e subito rinviato
nell'aprile scorso per le eccezioni sollevate
dalla difesa, il giudizio per quello che viene
definito dalle cronache locali l'affare di
Heysel, prende dunque avvio in un clima solenne
e spettacolare. La sede scelta è quella delle
grandi occasioni: l'aula centrale del vecchio
Palazzo di giustizia, un austero immobile tutto
in marmo costruito nel 1883 sotto il regno di
Leopoldo II. Le misure di sicurezza sono
imponenti. Jeep e blindati schierati davanti
agli ingressi principali, transenne, agenti in
divisa e in borghese, rigidi controlli con metal
detector. Si temono incidenti e l'incubo del
passato invita alla prudenza. Così, quando il
presidente della quarantottesima Chambre du
tribunal de correction Verlynde, dà inizio
all'udienza, la folla di curiosi, di testimoni e
di familiari delle vittime è ancora impegnata a
superare le rigide formalità d'ingresso. Alle
9.00 l'aula è già colma di gente. Il tavolo
della Corte, con un presidente e due giudici a
latere, entrambi donne, è in fondo vicino a una
parete. Ai lati siedono gli avvocati. Quaranta
rappresentano la difesa, una decina la parte
civile. Gli imputati, gli hooligans, sono
raggruppati in mezzo alla grande stanza,
assistiti da tre interpreti. A lato, ci sono
invece gli imputati eccellenti, quelli citati in
giudizio dai legali dei familiari degli uccisi.
Nomi importanti, tutti accusati di concorso in
omicidio preterintenzionale: Hervé Brouhon,
sindaco di Bruxelles, l'assessore comunale allo
Sport, Vivianne Baro, Albert Roosens, presidente
dell'Unione calcio belga, George Jacques,
presidente della Uefa; quindi due ufficiali
della Gendarmeria: Johan Mahieu e Michel Kensier.
Devono rispondere anche loro di concorso in
omicidio. Stando al nutrito dossier elaborato
dalla commissione parlamentare d'inchiesta, i
due dirigenti della Gendarmerie, responsabili
dell'ordine pubblico durante la partita,
sarebbero intervenuti in modo tardivo e
scoordinato. Centinaia di testimonianze e le
diciotto ore di filmati allegati agli atti
dell'inchiesta formale, non lasciano dubbi:
l'atteggiamento della polizia quella sera fu
incerto e tentennante. Centinaia di supporters
inglesi vennero ammassati proprio a fianco della
curva Z, destinata ad accogliere i tifosi della
Juve. I due gruppi erano separati soltanto da
una rete di ferro. Una rete da pollaio, ricorda
oggi Otello Lorentini, presidente
dell'Associazione delle vittime di Heysel e
presente in aula come teste. Quel giorno ero
sugli spalti con mio figlio e due nipoti. Gli
hooligans erano lì, a pochi metri da noi. Erano
ubriachi. Urlavano, cantavano, lanciavano
lattine, qualche razzo. Atteggiamenti, come
dire, normali, folcloristici. Nessuno poteva
immaginare cosa stavano meditando. Di colpo
hanno iniziato a rompere i gradini di marmo.
Poi, lo ricordo bene, è una scena che non
scorderò mai, uno di quelli è saltato sulla rete
e con due colpi l'ha distrutta. Venivano a
ondate. Facevano vere e proprie cariche.
Andavano e tornavano. La gente è stata presa dal
panico. Ha cercato scampo... E' stato un
massacro. Otello Lorentini quella sera ha perso
un figlio. Un medico di ventotto anni. L'ho
rivisto soltanto a mezzanotte, racconta con gli
occhi lucidi, era deforme. La folla l'ha
schiacciato mentre tentava di rianimare uno
spettatore con la respirazione artificiale. Che
cosa doveva fare ? Era un medico e di fronte a
quel massacro stava facendo il suo dovere. Ci
hanno offerto un risarcimento di pochi milioni.
Ma è un argomento che non voglio affrontare. Io
non cerco vendetta, chiedo solo giustizia".
Decine e decine di testimonianze. Racconti,
grandi tragedie, vite sconvolte in pochi minuti
di assurda violenza. I familiari delle vittime
partecipano al dibattimento. Ma solo in pochi
sono riusciti a venire. "Troppe spese da
affrontare", spiega ancora Lorentini. "La nostra
Associazione vive attraverso un'autotassazione.
Ogni tanto raccogliamo dei fondi. Sì è vero la
Thatcher ci ha inviato pochi mesi dopo la
tragedia 250 mila sterline, circa 500 milioni di
lire. Un altro miliardo lo abbiamo ricevuto
dalla Fondazione Agnelli. Ma i soldi serviranno
soprattutto a risarcire i familiari". L'appello
degli imputati finisce poco prima delle 11.00.
Vengono proposte le prime eccezioni procedurali.
Parla l'avvocato generale che difende lo Stato,
anch'esso citato in giudizio; parla il legale
della Gendarmerie. L'udienza scorre tra mille
difficoltà. Sarà un processo lungo: almeno
cinque-sei mesi. I primi interrogatori sono
previsti per il 4 novembre, venerdì prossimo ci
sarà un sopralluogo allo stadio di Heysel con la
visione dei filmati che hanno consentito di
individuare alcuni dei responsabili del
massacro. Alle 17.00 il presidente aggiorna il
dibattimento. Si prosegue stamani. Bombe
permettendo. Per ben due volte i soliti anonimi
hanno minacciato di far saltare in aria il
palazzo.
Fonte: La
Repubblica
©
18 ottobre
1988
|
Platini
sull'Heysel
Ha ribadito:
"Bisognava giocare" - Carraro: "Dobbiamo aiutare
i familiari delle vittime".
Mentre a
Bruxelles prosegue, fra eccezioni e traduzioni
in cinque lingue, il processo ai 24 hooligans
inglesi accusati della tragedia dell'Heysel, due
voci importanti sono intervenute ieri per
parlare del tragico avvenimento. Una è quella di
Michel Platini, testimone oculare. In una serie
di interviste a quotidiani francesi, l'ex
calciatore e neo vicepresidente della squadra
del Nancy, ha dichiarato fra l'altro: "Sono
convinto, ancora oggi, che fosse necessario
giocare l'incontro, altrimenti i morti sarebbero
stati di più. Prima del calcio d'avvio,
ritardato di due ore circa e dopo la vittoria
della Juventus siamo stati presi dalla
tristezza. Ma sul terreno, anche se molti non lo
hanno capito, ha prevalso la passione. L'Heysel
è l'orrore, il peggiore ricordo della mia
carriera. Quello che si fa a Bruxelles è il
processo alla società attuale". "Perché un
processo ! - ha continuato Platini - Non ci sono
responsabili. Voglio dire che tutti e nessuno lo
sono. Io, in passato, me la sono presa con gli
organizzatori e l'Uefa, ma credo invece che
questa tragedia prima o poi doveva succedere". A
Rimini, partecipando ad un dibattito
sull'innovazione turistica, il ministro Franco
Carraro ha detto: "Le famiglie delle vittime
all'Heysel devono avere giustizia e lo Stato
italiano non può non provare sgomento nel
sentire che la parte civile che li rappresenta
al processo si trova in precarie condizioni
economiche. E' per questo motivo che intendo
sottoporre alle organizzazioni sportive e a
tutti gli organi competenti di farsi carico di
un aiuto per non lasciarle sole". Sempre a
proposito dell'Heysel, la Bbc ha organizzato a
Londra un dibattito fra alcuni familiari delle
vittime, parenti degli hooligans accusati e
giocatori del Liverpool. Al termine, il
principale imputato è sembrato essere lo stadio
della capitale belga, definito "decrepito,
inadatto, spaventoso". Il giocatore Phil Neal ha
poi confermato che anche il Liverpool dopo aver
saputo della "tragedia", voleva giocare per
"evitare altri problemi".
R.S.
Fonte:
La
Stampa
©
19 ottobre
1988
|
|
Strage
Heysel. Aperto il processo a Bruxelles per i 39
morti allo stadio: imputati eccellenti, insieme
ai teppisti 17
inglesi, ora liberi dietro cauzione.
"In nome
della legge": hooligans alla sbarra
di Paolo
Soldini
Prima
udienza al processo per la strage di Heysel. Tre
anni e mezzo dopo, i responsabili delle violenze
che costarono la vita a 39 persone, nello stadio
dove si attendeva la finale della Coppa dei
campioni tra la Juve e il Liverpool arrivano in
un aula di tribunale. Ma le prime battute, ieri,
hanno già fatto intendere che il processo sarà
lungo e difficile. II momento della giustizia è
ancora lontano.
DAL NOSTRO
CORRISPONDENTE (BRUXELLES) - Un processo
difficile, lo si sapeva dalla vigilia, e la
conferma è venuta subito ieri mattina nella
grande sala delle udienze solenni della Corte
d’Assise quando il presidente della quarantesima
sezione del tribunale Verlynde ha aperto il
procedimento "in nome del Re". Erano passate da
poco le nove e fin dal primo mattino la folla
dei giornalisti cameramen e fotoreporter in
agguato si accalcava davanti ai "metal
detectors" piazzati all’ingresso del palazzo di
Giustizia, attraverso i quali occhiuti gendarmi
facevano filtrare insieme curiosi, imputati e
familiari delle vittime. Anonimi questi ultimi
se non per il lutto di qualche donna e qualche
parola scambiata in italiano, riconoscibili gli
hooligans inglesi con il bavero alzato a coprire
il viso o il cappuccio dell’eskimo calato sulla
testa, arcinote le facce degli imputati
"eccellenti", il Borgomastro di Bruxelles
Brouhon, l’assessore allo sport signora Baro, i
dirigenti dell’Unione calcistica belga e
dell’Uefa fatti scivolare discretamente insieme
con gli avvocati da un’altra entrata. Il
processo per la strage dello stadio di Heysel è
cominciato così quasi tre anni dopo l’orrore di
quella serata del 29 maggio 1985 con i suoi 39
morti. E’ ricominciato, anzi, perché una prima
seduta c’era stata già il 18 aprile scorso, ma
gli avvocati della difesa avevano chiesto e
ottenuto un rinvio per studiarsi gli atti, 48
mila pagine in cui quei pochi minuti di follia
sono fissati nel linguaggio della giustizia. E’
ricominciato sotto la sorveglianza di un
imponente servizio di sicurezza dispiegato anche
a proteggere le udienze di un altro processo
delicato quello ai terroristi delle "cellule
comuniste combattenti" che si celebra in un aula
accanto e in un clima teso in cui non è mancato
neppure un falso allarme alla bomba lanciato
chissà da chi e chissà perché. Ed è incominciato
soprattutto sotto il segno di una battaglia
procedurale che si annuncia complicata e
lunghissima. Gli avvocati della difesa si
preparano su una trincea di eccezioni che
contestano tutto, dalla competenza del tribunale
al modo in cui è stata condotta l’istruttoria,
al sistema delle traduzioni. Nessuno è in grado
di prevedere quando ci sarà la sentenza. I più
ottimisti dicono verso gennaio o febbraio, ma
c’è anche chi parla di sei, sette, forse, otto
mesi. La cronaca delle prime battute è già la
cronaca di questa battaglia fatta di schermaglie
tecniche e di considerazioni giuridiche
scambiate a colpi di fioretto tra l’accusa
rappresentata dal procuratore del Re, Erauw, e i
trenta avvocati della difesa, coordinati dal
britannico sir Livermoore. Le prime
testimonianze su quei terribili momenti che
sembravano lontani anni luce ieri dall’aula del
tribunale di Bruxelles sono previste per
l’udienza del 4 novembre. Subito prima o subito
dopo dovrebbero essere proiettati i mille e più
fotogrammi ripresi dalle tv la sera del 29
maggio. Sarà il momento più duro per i
superstiti e per i familiari delle vittime. E
forse anche per gli hooligans accusati che
liberi sotto cauzione si sono presentati alla
prima udienza quasi tutti. Ce n’erano 24 su 26,
uno è in galera in Inghilterra per motivi che
con Heysel non hanno a che fare, un altro è
fuggito, non si sa dove.
Fonte:
L’Unità
©
19 Ottobre
1988
|
|
E gli "hooligans" tornano a
casa
BRUXELLES -
Gli hooligans, sono tornati a casa. In
Inghilterra. Non abbiamo soldi, hanno detto al
presidente del tribunale che li sta giudicando
per la strage allo stadio di Heysel. Non
possiamo restare in Belgio per cinque mesi.
Rientreremo quando dovremo testimoniare o essere
interrogati. Il giudice Pierre Verlynde, il
flemmatico presidente della 48esima Chambre de
Tribunal de Correction, ha accolto la richiesta
dei ventiquattro imputati concedendo loro il
nulla osta per il rimpatrio. Siete liberi
cittadini, ha detto, potete fare quello che
volete. Ma solo una parte dei supporters del
Liverpool, accusati di omicidio
preterintenzionale e di lesioni gravissime, per
la morte di 39 persone e il ferimento di altre
500, ha seguito l'esempio dei compagni.
Nonostante le dichiarazioni della vigilia, ieri,
alla seconda udienza di questo imponente e
difficile dibattimento, otto imputati si sono
ugualmente presentati in aula. Per tutta la
mattina hanno seguito con attenzione, confortati
dall'aiuto degli interpreti, la fitta serie di
eccezioni sollevate nuovamente dalla difesa
delle parti civili. Uno scontro duro, compatto,
che vede contrapposti illustri avvocati
internazionali su temi squisitamente
tecnico-giuridici. Tre ore e mezzo di battaglia
con interventi a raffica, serviti più che altro
a chiarire sin dall'inizio la piega che assumerà
il vero e proprio dibattimento. Tre i punti più
controversi. La difesa, rappresentata dall'ex
sindaco di Liverpool, il principe del foro sir
Harry Livermore, lamenta il fatto di non avere
potuto prendere visione degli atti istruttori.
Un dossier imponente, oltre 54 mila pagine, che
raccoglie tutte le testimonianze e le perizie
compiute durante i 41 mesi dell'inchiesta. Il
secondo punto sollevato dai legali degli
imputati, riguarda i filmati: 18 ore di riprese
tv montate in una sola bobina dalla polizia
scientifica. Grazie a queste immagini, si sono
potute ricostruire tutte le fasi dell'assurdo
attacco alla curva Z, dove erano raggruppati i
tifosi italiani, da parte dei reds del
Liverpool, e identificare gran parte degli
autori delle violenze. La difesa adesso mette in
dubbio la validità di quei filmati, parlando
apertamente di manipolazione. Terza questione,
la citazione a giudizio chiesta da alcune parti
civili, del segretario generale della Uefa, lo
svizzero Hans Bangerter. Molto probabilmente
prima della prossima settimana il dibattimento
non riuscirà a decollare. Troppe eccezioni,
troppi temi tecnico-giuridici da affrontare e da
risolvere. E il presidente, apparentemente, non
ha fretta. Il sopralluogo, fissato per venerdì
prossimo allo stadio di Heysel può aspettare.
Così come gli interrogatori degli imputati
inglesi. Sei degli otto hooligans presenti ieri
hanno deciso di rientrare in Inghilterra.
Torneranno qui a Bruxelles soltanto lunedì
prossimo. Si prosegue oggi, nel pomeriggio.
(Dal nostro inviato
D.M.)
Fonte:
La
Repubblica
©
19 ottobre
1988
|
|
Gli avvocati dei tifosi
inglesi minacciano di abbandonare la difesa
Subito
fermo il processo dell'Heysel
di Fabio
Galvano
I legali
chiedono di poter avere a disposizione tutti gli
atti (48 mila pagine) dell'istruttoria - Forse
dovranno testimoniare anche Michel Platini,
Giampiero Boniperti e il presidente del
Liverpool.
DAL NOSTRO
CORRISPONDENTE (BRUXELLES) - Il processo
dell'Heysel ha rischiato di saltare. A più
riprese, nella drammatica seduta di ieri, gli
avvocati degli hooligans inglesi sono entrati in
aperto conflitto con il giudice Pierre Verlynde
e hanno minacciato di abbandonare la difesa se
non otterranno soddisfazione su alcune richieste
che definiscono "fondamentali" e che il
magistrato ha invece respinto. Così, mentre il
processo per la strage del 29 maggio 1985 - 39
morti, fra i quali 32 italiani - entrava nel
vivo con l'agghiacciante proiezione dei filmati
di quella notte, sono stati gli scontri
procedurali a tenere banco. L'eventualità di
clamorose svolte non è scomparsa, anche se una
mediazione da parte del decano degli avvocati ha
rimesso ieri il processo in carreggiata dopo che
i legali della difesa avevano già abbandonato
l'aula. Ieri a Bruxelles è anche corsa la voce
secondo cui Michel Platini, il presidente della
Juventus Giampiero Boniperti e il presidente del
Liverpool saranno chiamati sul banco dei
testimoni da Paul Lombard, uno dei più noti
avvocati parigini, che cura gli interessi di
alcune vittime francesi. Ma in attesa di
conferma, presumibilmente fra una decina di
giorni, è la compagine di avvocati guidata
dall'anziano Sir Harry Livermore che suscita il
maggiore interesse in questa seconda settimana
di udienze. Lo scontro è avvenuto alle prime
battute della giornata, dopo che il giudice
Verlynde aveva emesso la sua sentenza sulle
eccezioni procedurali sollevate la scorsa
settimana dalla difesa. Le ha, di fatto,
respinte: in primo luogo il magistrato si è
dichiarato incompetente sulla richiesta della
difesa di avere a disposizione, gratuitamente,
il dossier degli atti processuali, 48 mila
pagine per i cui diritti di riproduzione il
tribunale chiede 45 milioni di lire. Tale
vicenda, ha detto il giudice, riguarda il
ministero delle Finanze. La seconda eccezione
riguardava il diritto di chiamare a testimoniare
molte delle persone le cui deposizioni sono agli
atti: il giudice, che in un primo tempo aveva
risposto con un secco no, ha precisato che tale
eventualità sarà esaminata sulla scorta del
dibattito. Irritati da queste decisioni, gli
avvocati difensori hanno chiesto la parola,
sentendosela però negare: possono parlare, ha
detto il giudice, soltanto i legali degli
imputati presenti in aula. E nel Palazzo di
Giustizia c'erano, ieri, soltanto due dei
ventisei tifosi del Liverpool accusati della
strage. E' stata la goccia che ha fatto
traboccare il vaso. "Se non possiamo parlare, se
non abbiamo certezze sui testimoni e se non
abbiamo la possibilità di consultare a nostro
agio gli atti - ha dichiarato uno degli avvocati
- tanto vale rinunciare alla difesa". Il folto
gruppo degli avvocati degli hooligans ha cosi
lasciato l'aula; e soltanto la mediazione del
decano ha permesso che il dibattito riprendesse.
La minaccia di abbandono non è l'unica spada di
Damocle che pende sul "processo maledetto": dopo
gli scontri di ieri la difesa ha presentato
un'eccezione scritta in cui si chiede, dopo la
mancata consegna gratuita di una copia del
dossier, che tutte le 48 mila pagine vengano
lette pubblicamente. Sarebbe la paralisi del
processo, settimane da aggiungere ai sei mesi
che già si prevedono prima della sentenza. Ma
l'obiettivo vero, secondo quanto si osservava
ieri nei corridoi del Palazzo di Giustizia, fra
i commenti sulle orrende scene dei filmati, è
forse di indurre la Corte ad approvare la
lettura di parti fondamentali in momenti precisi
del dibattito, per sopperire in qualche maniera
alle testimonianze che il giudice non vorrebbe
ammettere.
Fonte:
La
Stampa
©
25 ottobre
1988
|
|
Nella curva della morte
BRUXELLES -
E’ Gesù che mi ha dato la forza di tornare qui.
Da lui ho avuto la forza per sopravvivere giorno
dopo giorno, da quando sono stato in carcere. E'
la prima volta che vengo in questo stadio dopo
la sera della tragedia, ma dovevo venire, era
mio dovere. Alan Woodray ha lo sguardo un po'
fisso, è emozionato, ha il viso paonazzo, i
capelli biondo rossi sulla camicia a quadretti e
i jeans di velluto celeste. E' l'unico degli
hooligans accusati per la strage dello Heysel
che abbia accettato di tornare sul luogo della
tragedia. Ed è anche l'unico che mostri segni di
pentimento e che accetti fino in fondo il peso
delle proprie azioni. Ieri a Bruxelles, al
processo per le violenze nello stadio Heysel,
che il 29 maggio di tre anni fa costarono la
vita a 39 persone (fra le quali 32 italiani),
sono accaduti due fatti importanti:
l'interrogatorio di Staney Conroy, 36 anni, e
David Duncan, 25, entrambi inglesi, due degli
accusati. Ed è stato condotto un sopralluogo
allo stadio: con Woodray. C'erano il presidente
del tribunale, Pierry Verlynde, gli avvocati
delle famiglie delle vittime, il presidente
della Federcalcio belga Albert Roosens, il
sindaco di Bruxelles e due suoi assessori, tutti
coinvolti nel processo per le responsabilità
attinenti alle condizioni dell'impianto. Conroy
è un disoccupato ed è stato il secondo fra gli
accusati ad essere sentito dal tribunale. Ha
negato quasi tutto: "Non ho minacciato nessuno,
non ho partecipato direttamente a quegli
incidenti. Avevo solo una bandiera, ma non
c'erano sbarre di ferro". La circostanza della
spranga metallica era stata indicata da due
testimoni italiani e dalle immagini televisive
proiettate nel corso dell'udienza. Conroy ha
però ammesso di essere stato già condannato,
qualche tempo fa, dal tribunale londinese per
ubriachezza e violenze nei pressi dello stadio
del Tottenham. Nel pomeriggio il presidente
Verlynde ha guidato il sopralluogo all'Heysel.
C'erano anche i gendarmi responsabili
dell'ordine pubblico allo stadio la sera di
Juventus-Liverpool e il padre di una delle
vittime, il pescarese Nino Cerullo che qui ha
perso il figlio, Agostino. Non sono state
ammesse le telecamere e gli amministratori e i
dirigenti del calcio belga hanno colto
l'occasione per scaricarsi di ogni addebito.
Così il sindaco Brouhon, presidente federale, ha
preso a calci le gradinate della curva Z per
dimostrare questa teoria: Vedete, non è
possibile né con le mani né coi piedi staccare
un pezzo di questa pietra. Ci vogliono dei
coltelli. E lascia intendere che quelli erano
accessori usati dai tifosi britannici. C'è
perfino una piccola polemica, perché Roosens
sostiene che lo stadio non è cambiato, che è
ancora in perfetta efficienza nonostante sia
stato costruito nel 1930. Ma gli avvocati fanno
notare che le scale d'accesso sono più larghe di
tre anni fa, che ci sono nuovi frangi folla, un
accorgimento che nella sera della strage
sarebbero tornati assai utili: avrebbero frenato
la spinta della gente in fuga e quindi diminuito
lo schiacciamento. E la nuova curva: che adesso
si chiama settore numero 1 e nella quale è stato
rifatto il muretto decrepito che quella notte
cedette facendo cadere dall'alto di molti metri
alcune delle vittime. La signora Vivane Baro,
assessore allo sport, dice che dove si mettono i
tifosi belgi, là in alto, non succede mai nulla.
Parole di difficile comprensione, forse vuol
dire che anche i morti hanno qualche colpa. Alle
15.30 il presidente Verlynde ha dichiarato
chiuso il sopralluogo. L'appuntamento è per
lunedì mattina nell'aula del tribunale.
Fonte:
La
Repubblica
©
29 ottobre
1988
|
|
Heysel, solo un "hooligan" sul
luogo del delitto
Mr. Alan
Woodray è stato I ‘unico dei 26 "hooligans"
inglesi, attualmente processati a Bruxelles per
la "strage Heysel", ad avere il coraggio di
tornare sul luogo del delitto" tre anni e mezzo
dopo la tragedia in cui morirono 39 persone. Al
sopralluogo di ieri, organizzato dal tribunale
belga che sta giudicando la vicenda, hanno preso
parte anche alcuni imputati "eccellenti" come il
sindaco di Bruxelles Brouhon e I’ex segretario
della Federcalcio belga Roosens.
Fonte:
L’Unità
©
29 ottobre
1988
|
|
Al processo di Bruxelles per i
39 morti allo stadio non emergono prove decisive contro i
teppisti
Heysel,
difficile incastrare gli hooligans
Le riprese
filmate sono poco chiare e facilmente
confutabili dalla difesa - Sarà molto arduo
provare le responsabilità dirette - E gli
imputati proprio per questo acquistano ogni
giorno sicurezza e arroganza.
BRUXELLES -
I 24 hooligans inglesi ritenuti responsabili
della tragedia dell'Heysel e della morte di 39
persone (fra le quali 32 tifosi italiani),
attualmente sotto processo nel tribunale della
capitale belga, potrebbero farla franca. Le due
prime settimane del complicato dibattimento
hanno infatti evidenziato che sarà molto
difficile provare la responsabilità diretta
degli accusati. Tanto è vero che il collegio dei
difensori si fa di giorno in giorno più
aggressivo sollevando obiezioni, demolendo
testimonianze. In particolare l'esame dei
numerosi filmati e delle riprese televisive non
ha portato elementi di rilievo a favore
dell'accusa. Le immagini della tragica serata
del match fra Liverpool e Juventus, trasmesse e
ritrasmesse in tribunale al rallentatore, hanno
messo in evidenza al momento solo l'assenza
delle forze dell'ordine e l'incapacità di queste
ultime nel controllare la situazione. E così il
gruppo di legali belgi incaricati della difesa
sta cercando di raggiungere lo scopo di provare
che si tratta di un "processo impossibile", nel
quale gli unici imputati realmente accusabili
potrebbero diventare il Comune di Bruxelles,
proprietario dello stadio obsoleto e l'Unione
belga di football, che affitta l'impianto. E gli
hooligans si fanno baldanzosi. Michael Barnes,
23 anni, uno dei "duri" del gruppo, il primo ad
essere stato ascoltato dal tribunale, definito
dalle testimonianze italiane "aggressore,
provocatore, elemento attivo della banda e
minaccia grave per le forze dell'ordine", ha
detto nel corso del suo recente interrogatorio:
"Non mi sono mai drogato, non bevo alcol, le
testimonianze sono false. Io sono andato a
vedere un match di football e non allo stadio
per partecipare a risse". Ed in effetti sinora
non è stato possibile smentirlo concretamente.
Lo stesso Barnes ha detto anzi di essere stato
attaccato da un tifoso italiano e di non essere
riuscito ad inseguirlo. E le immagini tv gli
danno ragione: lo si vede mentre si tiene
lontano dal luogo, la tragica tribuna Z, dove
sono morti trentanove spettatori. Stessa
constatazione per altri tre interrogati
successivamente. Un altro degli inglesi
(imprigionato in seguito ad una denuncia
anonima), Stanley Conroy, 36 anni, il più
anziano fra gli imputati, ha replicato alle
accuse di avere preso a calci dei tifosi:
"Guardate bene il video, non è il mio piede
quello che si vede alzarsi, ma quello di un uomo
alle mie spalle". In effetti le immagini sono
confuse. Sarebbero più chiare quelle riguardanti
Gary Evans, 24 anni, ripreso mentre insegue tre
gendarmi con un'altra trentina di tifosi del
Liverpool. Ma lui si difende: "I poliziotti mi
avevano colpito in testa. Qualche istante dopo
avevo lanciato delle lattine di birra, ma era
molto dopo la caduta del muro". Altri due
imputati sentiti ieri, come quelli che li
avevano preceduti, si sono dichiarati innocenti.
Si tratta di Paul Howard, 23 anni, impiegato in
un ristorante italiano, e Kevin Hughes, operaio
edile, 22 anni: il primo, in particolare, è
considerato uno dei principali responsabili
delle cariche mortali. Ma anche per lui la linea
difensiva è chiara: nessuna ammissione di
responsabilità. Per quanto riguarda le
testimonianze di coloro, italiani e non, che
hanno affermato nel corso dell'istruttoria di
riconoscere negli hooligans interrogati
protagonisti precisi della strage, gli imputati
se la cavano negando, con maggiore o minore
contrizione, su tutta la linea. In sostanza non
sembra che l'accusa possa avere nelle mani prove
schiaccianti. Gli interrogatori degli hoolingans
procederanno sino a metà novembre. L'Uefa
proprio ieri è stata chiamata ancora a correo
dai difensori delle vittime francesi. Il
dibattimento si protrarrà a lungo. Per il nostro
ministro degli esteri, Andreotti, la sentenza
non si avrà prima di quattro anni.
r.s.
Fonte:
La
Stampa
©
3 novembre
1988
|
|
Strage dell’Heysel: in
Inghilterra una crociata per salvare i 26 imputati. Martellante
campagna di stampa23 per cercare di imporre un verdetto di
assoluzione.
Gli
hooligans ? Sono bravi ragazzi
di Alfio
Bernabei
I 26
imputati inglesi nel processo per il massacro
nello stadio di Heysel che costò la vita di 39
persone saranno tutti assolti per insufficienza
di prove. Questo è il parere quasi unanime della
stampa britannica. A torto o a ragione si sta
creando l'aspettativa per l‘inevitabile
risultato, intorno ai 26 esiste ormai un clima
di indulgenza con il paese che reclama "vera
giustizia" e assoluzione per "i nostri ragazzi".
LONDRA -
Dopo aver messo una pietra sopra alla
"sfortunata tragedia", i giornali stanno
demolendo la farsa nell‘aula del palazzo di
Giustizia a Bruxelles sulla quale sono state
pubblicate le prime vignette satiriche. "Fuori,
fuori, fuori", urlano gli avvocati dipinti come
hooligan togati. Non si capisce bene se si
riferiscano a se stessi, al giudice Pierre Verlynde che tende a pronunciamenti
contraddittori, o ai lacrimosi italiani che come
nel film del neorealismo si fanno prendere dalle
emozioni. La colpevolezza o meno degli imputati
è diventata un argomento di secondo ordine, la
linea seguita dalla stampa è quella
influentissima suggerita fin dall'inizio
dall'avvocato di Liverpool Sir Harry Livermore:
il processo è una perdita di tempo, il sistema
giudiziario belga è inferiore a quello
britannico e il governo non avrebbe mai dovuto
acconsentire all'estradizione degli imputati
mettendoli in balia di un sistema processuale
così diverso che è diventato sinonimo di
inefficienza. E adesso che gli imputati sono
circondati da confusione procedurale, manovre
forensi asservite a scopi politici interni al
Belgio e per giunta ad italiani emotivi, è
venuto il momento di far scattare la crociata
della salvezza, bisogna estricare i 24 (due sono
in prigione in Inghilterra per altri motivi)
prima che diventino essi stessi vittime
innocenti di circostanze pericolose. Gli
hooligans di ieri sono diventati "our boys", i
nostri ragazzi, e l'altro giorno Sir Harry
Livermore, che rappresenta 15 imputati, ha
impressionato i giornalisti quando ha usato nei
loro riguardi l'espressione "gallant young
gang", gruppo di giovani galanti. Che ci sia
della messa in scena bene organizzata appare
evidente. I 24 imputati non si danno più di
gomito sorridendo delle loro bravate come li
abbiamo visti fare nell'aula numero 4 della
Corte di Highbury a Londra durante le fasi
iniziali del processo e non cantano più i loro
inni goliardici nel sottoscala del tribunale. In
Gran Bretagna macchine fotografiche e telecamere
sono vietate così non esiste traccia visuale di
questo comportamento. Ora i giornalisti inglesi
li descrivono in cravatta, cortesissimi davanti
al giudice al quale si rivolgono con un
"monsieur le president". Tutti hanno chiesto
scusa ai familiari delle vittime prima di
tornarsene in Inghilterra perché dopo la
confusione nel palazzo di Giustizia sono
pervenuti al loro proprio verdetto, non vale la
pena di rimanere in Belgio, hanno cose più
importanti da fare. Forse non è un caso che
l'unico imputato che è tornato nello stadio fra
dozzine di giornalisti e telecamere è stato
Allan Woodray. "Certo che si provano delle
emozioni nel tornare qui, ma sono determinato a
non farmi trasportare da esse. In questi anni ho
ritrovato Dio ed è lui il solo che mi
controlla", ha detto ai giornalisti. A poca
distanza da lui c’era il padre italiano di una
delle vittime ed è logico pensare che se avesse
osato mormorare qualcosa in più del suo "questo
è un brutto momento", avrebbe fatto una pessima
figura verso il giovane inglese rinato in Dio,
ma soprattutto nei confronti dei molti
giornalisti presenti. "E’ chiaro che gli
avvocati hanno fatto scuola ai loro clienti",
scrive il Sunday Times. E aggiunge che secondo
voci alcuni avvocati belgi avrebbero accettato
di rappresentarli senza percepire alcun compenso
o per farsi notare o perché il processo offre
loro la possibilità di criticare il sistema
legale belga verso cui hanno dette rimostranze
di vecchia data. Da qui sarebbe originato il
loro comportamento da "ragazzi disordinati",
impegnati in una serie di trovate pubblicitarie.
In questo modo le sedute vanno avanti lentamente
senza che ancora si siano toccati gli aspetti
principali e potrebbero continuare fino a
febbraio ed oltre. A quel punto anche se uno o
due degli accusati fossero giudicati colpevoli,
sullo sfondo di tanti elementi confusionari o
farseschi, i legali non avrebbero difficoltà nel
presentare un appello dopo l’altro. L'andamento
del processo e il verdetto che ne verrà fuori
non sono esenti da considerazioni di natura
interna britannica, in parte legate allo sport e
in parte alla politica. Il mondo dello sport ha
bisogno di un lifting morale dopo le accuse di
doping, di razzismo e l'imprigionamento di un
eroe nazionale come il fantino Lester Piggott
per evasione fiscale (rimesso in libertà in
questi giorni). Sul piano politico non bisogna
dimenticare che il premier Thatcher proprio
durante una recente visita in Belgio ha posto
importanti freni alla nozione dell’integrazione
europea in vista del 1992. Uno degli argomenti
più sacrosanti è la preservazione dei processi
decisionali interni con la massima
determinazione di impedire qualsiasi
interferenza in aree domestiche tipo quella
giudiziaria. La condanna di 26 cittadini
britannici all’estero sarebbe uno choc anche
politico per il paese. Lo scorso anno i giornali
britannici si sono scagliati per diversi mesi e
con straordinaria violenza (e con pochi motivi,
oltre a quello di rinforzare in senso
nazionalistico la propria supposta superiorità
legale) contro il sistema giudiziario svedese in
seguito alla condanna di un membro dell'esercito
inglese trovato in possesso di una vasta
quantità di stupefacenti. Quest'anno, come
alcuni fanno notare, è la volta del Belgio.
Fonte:
L’Unità
©
3 novembre
1988
|
|
Con i torinesi per la prima
volta in Belgio dopo l'Heysel
Quei 39
morti calpestati nel processo di Bruxelles
di Fabio
Galvano
Da un mese
di interrogatori-farsa emergono solo stupidità e
faciloneria.
DAL NOSTRO
CORRISPONDENTE (BRUXELLES) - Sembra un'antologia
delle occasioni perdute o peggio un tragicomico
catalogo di agghiaccianti facilonerie - mentre
la Juventus tornava ieri per la prima volta in
Belgio a tre anni dalla tragica serata
dell'Heysel - il bilancio di oltre un mese di
udienze sul processo contro gli hooligans del
Liverpool. Di tutto si è sentito nell'imponente
aula del Palazzo di Giustizia di Bruxelles:
persino il Papa è stato chiamato in causa; e il
responsabile della sicurezza ha dovuto ammettere
che non aveva mai visto uno stadio prima di
quella sera. Ma non una parola di pentimento o
di schietto dolore è echeggiata per i 39 morti -
32 italiani - di quel 29 maggio 1985. Dal banco
degli imputati il ritornello non cambia: nessuna
responsabilità, dicono i tifosi del Liverpool,
tutt'al più coinvolgimenti involontari: "7
testimoni che sostengono il contrario sbagliano
o mentono". A stupire ha cominciato, l'altra
settimana, l'ex segretario generale della
federazione calcistica belga, Albert Roosens,
accusato di concorso in strage. E' stato lui a
tirare in ballo il Papa. Certo che quella era
una partita delicata, ha detto: più volte ne
aveva discusso con polizia e gendarmeria, ma
invano aveva chiesto misure speciali di
prevenzione. E quella sera le forze dell'ordine
gli erano parse stanche, "forse in conseguenza
della visita del Papa". Che, per onor di
cronaca, era ripartito dal Belgio già da due
settimane. E' poi salito, su quel palcoscenico
di toghe nere, il borgomastro di Bruxelles,
Hervé Brouhon, chiamato in causa in quanto lo
stadio dell'Heysel appartiene al Comune. Brouhon
è il personaggio che, l'indomani della tragedia,
per difendere l'operato della polizia aveva
coniato un'indimenticabile battuta: "E’ stato
fatto tutto il possibile - aveva detto - anzi il
necessario". In tribunale egli ha continuato
sulla stessa falsariga: "Tutto era stato
previsto", ha detto. Ma non che gli incidenti
scoppiassero prima della gara; non che 39
persone potessero rimanere uccise. Le forze
dell'ordine erano poche ? Di più non era stato
possibile mobilitarne, ha risposto. Perché non
si provvide a proibire la vendita di alcolici ?
Perché amministrativamente era impossibile.
Tutto così, in tono burocratico; come se il
massacro di quella sera fosse davvero una
fatalità imprevedibile. Ma la palma degli
interrogatori in tribunale spetta forse ai
responsabili della sicurezza. Johan Mahieu,
capitano della gendarmeria, dirigeva il servizio
d'ordine all'interno dello stadio. "Non avevo
mai visto una partita di calcio in vita mia", ha
candidamente confessato. Per quell'incarico, ha
rivelato, lo avevano scelto soltanto il giorno
prima, ai suoi ordini aveva non più di cento
uomini per controllare 30 mila tifosi. E quando
il "blocco Z" dell'Heysel esplose, lui era
all'esterno dello stadio, chiamato per altri
piccoli incidenti. Per i primi venti minuti del
dramma, probabilmente i più drammatici, lui non
c'era. Nessuno lo avvisò ? Probabilmente sì, ma
chi avrebbe potuto prevedere che il boato degli
spalti potesse coprire la gracchiante voce dei
walkie-talkie utilizzati per garantire il
coordinamento fra l'interno e l'esterno dello
stadio ? Perché il capitano Mahieu fu scelto per
quell'incarico, nonostante la sua mancanza
d'esperienza ? "Perché l'ufficiale
originariamente preposto a quel servizio aveva
la scarlattina", ha risposto senza battere
ciglio il maggiore Michel Kensier. Lui era alla
centrale, coordinava da lontano la sicurezza
allo stadio; e al processo se l'è presa con gli
organizzatori di quella tragica finale di Coppa:
"Mi dissero che i tifosi del Liverpool non erano
teppisti". Un'altra "perla", che fa a gara con
quella emersa dalla testimonianza di Vivianne
Baro, Assessore allo Sport del Comune di
Bruxelles, quella sera anche lei andò allo
stadio. Ma non mentiva quando al giudice ha
detto di non sapere nulla di quanto accadde. La
spiegazione c'è, ed è stupenda: un poliziotto le
disse che c'erano incidenti e lei, saggiamente,
se ne tornò a casa.
Fonte:
La
Stampa
©
24 novembre
1988
|
|
Nella strage
dell'Heysel perse l'uso di una mano, ora è senza
pensione
"E dopo il
danno, le beffe"
La rabbia
di Carlo Duchene, il parrucchiere rimasto ferito
3 anni fa a Bruxelles. Secondo l'Inps non
raggiunge più la percentuale d'invalidità
sufficiente per ottenere l'assegno d'invalidità.
La mano
destra è quasi inservibile da quando, quella
sera, la usò per ripararsi il capo dai colpi di
spranga di un "hooligan" impazzito; soffre di
improvvise vertigini, tira avanti a medicine e
lavora come può, cercando di non affaticarsi
troppo. Eppure Carlo Duchene, 36 anni, ha perso
la pensione di invalidità, 420 mila lire al
mese: le botte prese allo stadio Heysel di
Bruxelles lo hanno menomato per sempre, ma il
grado di invalidità non raggiunge più quel 67,7
per cento previsto dalla legge che gli era stato
riconosciuto tre anni fa. Duchene non ci sta,
sostiene che l'ultima visita a cui si è
sottoposto "è stata frettolosa e incompleta",
esibisce una perizia di parte, firmata dal prof.
Baima Bollone, che attesta una menomazione
superiore al 70 per cento. Farà ricorso, se
andasse male è disposto a citare l'Inps. La sera
del 29 maggio '85, prima della finale di Coppa
dei Campioni tra Juventus e Liverpool, lo stadio
di Bruxelles fu teatro di un autentico massacro:
39 morti (32 italiani), oltre 200 feriti.
Duchene, parrucchiere di Vigone, restò per
settimane tra la vita e la morte, con un trauma
cranico che costrinse i medici belgi a un
delicato intervento. E' guarito, se può dirsi
guarito un uomo bisognoso di cure e periodici
controlli, costretto a dosare le proprie forze
nel lavoro in negozio. Dall'85 percepiva la
pensione di invalidità, l'hanno chiamato a
Pinerolo per la visita di conferma (per legge va
effettuata ogni tre anni). Racconta: "La
dottoressa mi ha fatto dire "trentatré", proprio
come nelle barzellette. Mi ha guardato gli
occhi, non le mani o la testa. "Sappiamo tutto
di lei" mi ha detto congedandomi. Ero
tranquillo, poi dall'Inps è arrivata la
comunicazione che mi avrebbero tolto l'assegno".
Alla sede Inps di Pinerolo, il direttore,
Raffaele Tassone, tenta di smorzare la polemica:
"Escluderei controlli sommari e frettolosi.
Tanto più che, in caso di dubbi, i sanitari
possono richiedere visite specialistiche".
Aggiunge la dottoressa Trinchino, che ha
effettuato la visita: "Ho seguito le normali
procedure, basandomi anche sulla documentazione
che riassume tutta la vicenda dell'assistito.
Visita frettolosa ? Non è vero, tutto normale".
Il ricorso, comunque, ci sarà. Lo sta preparando
l'avvocato Andrea Gaspari: "Dobbiamo presentarlo
entro 90 giorni, ma ne basteranno molti meno.
Siamo disposti ad arrivare alla causa civile".
L'asso nella manica sarebbe la perizia del
professor Baima Bollone, dove si parla di
"capacità di lavoro ridotta a meno di un terzo",
invalidità dal 71 all'80 per cento, danni
permanenti alla mano destra, postumi di trauma
cranico e vertigini ricorrenti. Duchene: "Non
riesco a capire come tutto questo possa
accadere. Del resto, sembra proprio che la
maledizione dell'Heysel non debba finire: 2 anni
fa mi arrivò perfino il conto dall'ospedale di
Bruxelles". Fu un "disguido amministrativo" di
cui le autorità belghe si scusarono prontamente.
Questa volta, invece, la vicenda potrebbe finire
in tribunale.
a. già.
Fonte: La
Stampa
©
26 novembre
1988
|
|
|
|
|
|
|